Pamelo era nato il 29 febbraio di un anno con 13 lune, in una frazione di un paesino della Val D’Agri che contava poco più di 200 anime (due terzi delle quali in prossimità di trasloco a miglior vita).
Sovrastava il paese l’enorme cartello pubblicitario di un’impresa edile: una scritta in Arial BOLD verde su sfondo bianco “TATARANNI COSTRUZIONI” e, sulla destra, il fedele disegno 3D di una serie di palazzoni in cemento in pieno stile horror architettonico anni ’80.
Lo stand era stato innalzato per l’informazione e il diletto degli automobilisti in viaggio sulla nuova strada che avrebbe collegato i comuni della valle alle Salerno-Reggio Calabria. Ma, a progetto approvato e malloppo incassato, la strada non era stata più costruita e il manifesto plastificato era rimasto lì ad ingiallire per anni.
All’età di sei anni Pamelo ebbe alcune fondamentali rivelazioni:
- Il suo paese non si chiamava “Tataranni Costruzioni”
- I numeri non arrivano fino a 50. E dopo il 50 non c’è subito il millemila.
- Gli elfimeri non esistono. Si chiamano elfi e non fanno concorrenza sleale a Babbo Natale, ma lavorano per lui.
- Le tazze da tè in genere non sono così brave a improvvisare coreografie da musical, ma tendono a sfracassarsi se provi a fargli fare un paso doble.
- Tutti muoiono prima di scoprire se l’universo è finito o infinito. Molti neppure ci provano. Lui ci avrebbe provato, ma sarebbe morto lo stesso. Prima.
- I suoi genitori avevano fatto un incredibile favore ai suoi già poco fantasiosi compagni di scuola, che grazie a quel nome non dovevano allenare l’immaginazione per trovare ulteriori motivi di scherno.
Suo padre, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non era un appassionato di tette e surf, capace di infliggere al suo primogenito il nome di una star televisiva. Era il pastore dell’unica chiesa evangelica della valle e aveva pescato quel nome da uno dei dischi che gli spediva suo fratello, direttore di un’impresa discografica in Africa (Pamelo Mounk'A & les Bantous de la Capitale). Tuttavia Pamelo sostenne sempre la prima versione quando frequentò le medie e le superiori fuori dal paese: un padre maniaco sessuale e teledipendente era sicuramente più accettabile e meno strano di un pastore evangelico amante della musica etnica.
Trascorse l’adolescenza leggendo romanzi di pirati, astronavi, moschettieri e agenti segreti e provando una sempre più profonda insofferenza verso la vita piatta e noiosa che gli era toccata in sorte. Tuttavia non fu mai uno studente modello e pensava che il bovarismo fosse una malattia epizootica. Suo padre non riuscì nemmeno a farne un buon cristiano, poiché Pamelo sembrava credere che la stella cometa fosse l’astronave aliena che aveva deposto Gesù nella grotta, e che i suoi l’avessero lasciato fra un bue e un asinello a causa dell’inesatta identificazione della specie dominante sul pianeta. Infatti il giovane Pamelo frequentava un gruppo di balordi convinti che gli alieni li visitassero in sogno, che Elvis fosse il loro postino e che ci si può drogare leccando i francobolli.
Tutti questi elementi possono forse giustificare, o almeno contribuire a spiegare, la confusa e inesatta percezione del mondo e della società che aveva il diciottenne Pamelo, nel meraviglioso giorno in cui, con il trasferimento nella Capitale, aveva inizio la sua vita vera, sottoforma di cazzeggi universitari e sesso pomeridiano, conquiste a sconfitte, telefilm e cylum, conoscenza e sogni...
...continua lunedì prossimo.
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