Rapporti di ricerca sulla vita sessuale delle formiche australiane e sugli ultimi avvistamenti di corridori onirici

martedì 15 novembre 2011

Il blog è in pausa a tempo indeterminato.
Be', scrivere un post per annunciare ciò che si poteva intuire da sei mesi di silenzio non ha molto senso. Ma mi sentivo in colpa ogni volta che scorrevo la lista dei blog che seguo, come quando te ne vai da una festa senza aver salutato gli amici o i padroni di casa.
Avevo pensato di chiuderlo, dopotutto non sono mai stata molto costante. Ma questo si può applicare a qualsiasi cosa nella mia vita. L'idea del blog mi piaceva perché non era obbligatorio mettere la parola fine.
Così vi saluto con una visione di Dave McKean e spengo la luce


domenica 1 maggio 2011

Aspiranti cyberuomini in sala d'attesa

Qualche giorno fa sono andata a farmi una visita per delle crisi d'asma che mi stanno tormentando da gennaio. Secondo mio marito si tratta di un disturbo psicosomatico, perché ogni volta che nomina L.J.S. (l'autrice dei libri che sto traducendo) mi scatta l'asma, tipo il nitrito dei cavalli in Frankenstein Junior quando si nomina Frau Blucher. Può darsi, ma non è di questo che voglio parlare.

Sono le otto di mattina del giorno dopo pasquetta quando entro nella sala d'attesa del mio medico a Matera e trovo un gruppo di vecchietti intenti a discutere animatamente di transumanesimo, cibernetica e religione in salsa futuristico-eretica. Mi siedo. Forse non sono ancora del tutto sveglia. Sì, stanno proprio parlando di cicli di reincarnazione, realtà virtuali con echi matrixiani e dickiani, trasmigrazione delle anime nelle macchine. Vanno avanti per un'ora buona e alla fine il più giovane (un tipo robusto, capelli sale e pepe sotto la coppola, sulla sessantina) conclude: fra qualche anno la carne umana non esisterà più, saremo tutti robotizzati.

Stelarc, artista postumanista, in posa con il suo terzo orecchio
Tornando a casa ripenso alla conversazione dei vecchietti e mi chiedo perché mi sorprenda tanto che parlassero di transumanesimo e non di acciacchi, politica e ricordi di gioventù. Più che sorpresa provo sollievo. E la sensazione di sollievo diventa sempre più intensa quando entro in casa e trovo il televisore acceso in cucina che, come al solito, si guarda da solo. C'è la solita serie tv italiana del nonno per amico che ha il figlio carabiniere e il nipote prete (o qualcosa del genere, tanto sempre quelli sono gli ingredienti). Almeno il televisore è utile alla mia gatta che ci sta appollaiata sopra a guardare i fantasmi sul soffitto (è molto freddolosa ed è vecchiotta anche lei... forse dovrei passarle qualche saggio di cibernetica). Vado in camera e accendo il pc. Ronza come un calabrone asmatico ed è l'ultimo posto in cui vorrei trasmigrare, ma compie ancora il suo dovere e mi mostra subito le pagine che cercavo. Sono in vacanza, il medico mi ha assicurato che anche stavolta non sto per morire, almeno non di asma, e ho una gran voglia di andare al cinema (è una delle prime cose che mi viene in mente quando sono felice). Cerco fra i film italiani, perché almeno quest'anno vorrei dare i miei soldini a qualche produzione nostrana. E poi due anni fa è uscita una piccola perla (anzi un minerale alieno): L'uomo fiammifero di Marco Chiarino. Non sia mai dovesse ripetersi il miracolo. Ma, almeno nei mesi di marzo e aprile 2011 non tira aria di miracoli. È la solita pappa pseudo-manieristica di neo (nel senso di tumore) realismo italiano. Film in cui, se ci fosse una scena ambienta nella sala d'attesa di uno studio medico del Mezzogiorno (ahia), i vecchietti innanzitutto sarebbero definiti "nonni" (anche se si fossero fatti sterilizzare a cinque anni) e parlerebbero di acciacchi, di nipoti carabinieri, di ricordi di gioventù, di quando si stava peggio, ma si stava meglio e di scottanti temi d'attualità. Tutto nei termini più banali e annacquati possibili.
Questi film pretendono di descrivere la realtà, ma, per fortuna, la realtà è ben diversa.

lunedì 18 aprile 2011

Le strade di sabbia - Paco Roca

Un uomo vive aspettando la morte. Come tutti, ma lui prende la cosa molto sul serio e, vestito col suo abito migliore, risiede in una bara, appoggiata al muro della cucina in cui la sua famiglia fa colazione, nell'appartamento di un albergo che somiglia alla torre di Babele, in una città labirinto dove tutti si perdono nelle proprie ossessioni e aspettano, chi l'avventura, chi l'amore, chi di fuggire e chi di tornare a casa. L'uomo è nella bara, circondato di rose e crisantemi, chissà, forse la moglie ogni tanto si ricorda di cambiar l'acqua. Accanto alla finestra aperta, un bozzolo. Anche il bozzolo aspetta. Di schiudersi. Come tutti i bozzoli di questo mondo. E noi aspettiamo che si schiuda.



























 


Un piccione si posa sul davanzale. L'uomo nella bara apre gli occhi. Il piccione china il collo e mangia il bozzolo. In un solo boccone. L'uomo esce dalla bara e per la prima volta sorride. Io pure sorrido e piango. Non l'ho ancora capita bene quella vignetta, e resterà sempre un poco di mistero, come in tutte le cose che non puoi smettere di amare. Il piccione d'inchiostro ha appena inghiottito un bozzolo che aspettava di schiudersi dentro di me. E all'improvviso, anche se, lo ammetto, resto ferma sul letto a guardare la pagina, anch'io esco.

L'uomo nella bara non è il protagonista e la scena raccontata è solo un piccola parte della trama del libro di Paco Roca "Le Strade di Sabbia", edito da Tunuè. Spero di aver invogliato qualche altro lettore a percorrere queste pagine, ricche di meraviglie e d'insidie. Buon viaggio.


martedì 12 aprile 2011

Il segreto del Morbillaio di Danilo Giovanelli

Le commedie raramente vincono gli oscar. L'umorismo, in tutte le sue forme, è sottovalutato. Mi capita la sera di cercare disperata fra i dvd una bella commedia per dare un po' di vita alla giornata e trovo solo drammoni, zompa e spara, splatterini di varia natura... E con i libri è ancora peggio. Non che non ce ne siano. Anzi. Ma il 90% dei film, dei libri e delle serie tv che dovrebbero strappare qualche risata, mi fanno solo innervosire. Troppo volgari. Troppo razzismo nascosto. Troppo stupidi.
Sarà capitato a tutti di restare ingrugniti a fissare uno schermo che provoca negli altri spettatori torrenti di risate, tempeste di pop corn sputacchiati e preoccupanti tremolii di sedili. E non perché non riusciate a capire le battute, anzi, vi sembra di capirle anche troppo bene. Allora siete alieni, vi manca il senso dell'umorismo? Be', forse... oppure semplicemente quel film non è nelle vostre corde. Ora, mi scuso se semplifico e dico qualche bestialità, ma credo che il dramma e la tragedia siano più viscerali, tocchino sentimenti più "universalmente" condivisi. In un certo senso, sono più "basse". La commedia, invece, è più "alta", per toccare davvero deve attraversare molteplici strati di complessità, è molto meno viscerale-naturale e più "culturale". Vabbe', il concetto andrebbe sistemato, l'ho buttato lì così... ma parliamo del Segreto del Morbillaio, che diamine!
Ho conosciuto Danilo Giovanelli con i tre  brevissimi racconti inseriti nell'antologia delle Edizioni XII "Corti, seconda stagione. L'invasione degli ultracorti"
Mi erano piaciuti tanto... tanto che per una settimana ho sfrancicato le scatole a tutti declamando in fila i tre raccontini di Danilo (che formavano una storia unica). L'ho letto a mio marito appena tornato da lavoro, a una mia amica al telefono, a mia madre in diretta su skype... Alla fine ero davvero brava a interpretarli e li conoscevo a memoria. Non che fossero qualcosa di mostruosamente originale... mi facevano ridere e mi facevano sentire bene. E non è tanto? A quel punto avevo bisogno di nuova pappa. Avrà pure scritto qualcos'altro questo Giovanelli, mi dico... e così scopro il suo Segreto del Morbillaio, vincitore del premio iNarratori per il miglior romanzo fantastico.
Il Morbillaio del titolo è il soprannome di Saturnetto Venceslao, un poeta di leopardiana memoria, malaticcio, butterato e color polenta, che aveva elevato culturalmente il piccolo provincialissimo paesello in cui era nato a vissuto.  In suo onore viene costruita una scuola dalle architetture surreali. A tener viva la memoria del sommo poeta c'è il gruppo dei fedelissimi Amici del Morbillaio, che accompagnano la declamazione dei versi con fantasiosi piatti di polenta (fra cui anche l'Aspic di Polenta e Polenta e Sushi... mmm!). Dei ragazzini trovano una poesia inedita di Saturnetto e sollevano il giocoso polverone di misteri e scoperte che vi terrà col fiato sospeso, tranne che per sghignazzare, fino alla fine del romanzo.
Ora, se vi piace un umorismo surreale e raffinato questo è il libro che fa per voi. Io l'ho trovato perfettamente nelle mie corde e ho passato un paio d'ore davvero piacevoli leggendolo. Alcuni capitoli mi hanno fatto venire quella che mia nonna chiama la strignarella (risate continue e incontrollabili, che provocano  scoppi di risa peggiori proprio quando cerchi di soffocarle). L'interrogazione-quiz con le mani dei fratelli Acaso da infilzare con le matite, a mo' di campanello, ad esempio. O la riunione degli Amici del Morbillaio.
È una scrittura piana, gradevole, con toni ironici e surreali, ma priva di certi eccessi alla Benni. Un umorismo amabile, con sarcasmo delicato, in fondo bonario, tipo quello di Terry Pratchett.  Faccio questi nomi per dare delle coordinate, perché credo che Danilo Giovanelli abbia una sua voce. Aspettando il suo prossimo romanzo (pleeeese) sono andata a fare un giro sul suo blog di vignette.
Se avessi un giornale gli affiderei subito uno spazio per le strisce. In un'altra vita, forse.



martedì 5 aprile 2011

News di Aprile

Ho tre brevi annunci da fare.
Questa settimana sono stata ospitata nel salotto virtuale, o meglio, nella misteriosa soffitta virtuale de La Tela Nera, un portale dedicato ai film, ai libri e ai racconti horror, thriller e fantastici. Il bravissimo Matteo Carriero mi ha intervistata e un insidiosissimo ragno mutante ha impiantato le sue uova nel mio sistema limbico. Per leggere l'intervista cliccate qui e per sapere cosa accadrà quando si schiuderanno le uova, continuate a seguire questo blog.
Per restare in tema, quest'anno mi trovate anche nelle uova di Pasqua! Ehm, mi è venuta in mente un'immagine piuttosto macabra. Correggo: trovate un mio racconto nelle uova di cioccolato. Per conoscere tutti i dettagli dell'iniziativa "Sorprese Letterarie", nata dalla collaborazione delle Tre Marie e della Scuola Holden, leggete qui.
Se invece volete fare una chiacchierata e siete a Caserta il 14 aprile, venite a trovarmi alla presentazione di "Al buio non parliamo delle stagioni". L'appuntamento è alle ore 20 presso la sede di Giosef Caserta, in Via Battisti 69.
Grazie a tutti e buona navigazione.

domenica 3 aprile 2011

Funcooler per passione

C'è chi a fun cool ci va per noia, chi ci ritorna per professione,
Gelostellato né l'uno né l'altro, lui vi ci manda per passione.

Ecco, bel modo di aprire un post dopo due settimane di assenza. Un minuto di silenzio per fissare la tastiera con aria contrita (...) Fatto. E, comunque, in tempi di fun cool tutto è lecito. Anche deturpare una bellissima canzone per fingere di aggiornare il blog, o fingere di aggiornare il blog per invitarti a partecipare al concorso più divertente della rete, o invitarti a partecipare al concorso più squilibrato di gelostellato per diventare uno scrittore sayan nella prossima vita.


Ora, se non mi hai ancora mandata a fun cool, potresti voler fare delle domande.
Perché dovrei partecipare? Leggi qui
Fico! E cosa devo fare per andare a fun cool? Leggi ancora qui
Non ho capito. Potresti farmi degli esempi? Vaaabe'... Leggi qui e qui.

Potresti essere un alieno che non ha ancora preso del tutto la zampa viscida e squamosa con i sistemi informatici terresti ed è probabile, pertanto, che tu non abbia capito di dover cliccare sui "qui". In tal caso farò un riassunto.

In palio ci sono libri e punti Karma (per diventare scrittore sayan nella prossima vita se arrivi al tredicesimo posto e scrittore dell'anno per le Edizioni XII se ti piazzi al primo).
Si partecipa con un solo racconto in una frase. Lunga o corta, basta che racconti una storia e abbia il punto solo alla fine. C'è tempo fino alla mezzanotte del 10 aprile.

Buon fun cool!

domenica 20 marzo 2011

Sorelle Mai di Marco Bellocchio

L'ultimo film di Bellocchio mi ha fatto tornare in mente quello che il mio insegnante di storia del cinema chiamava "cinema di poesia". Brevi, potentissime immagini che non si presentano come tasselli funzionali di una trama, ma attraverso il nostro sguardo e il nostro vissuto si accendono di vita, fanno riprovare un'emozione dimenticata, un ricordo che credevamo perduto.
Si tratta della vita di una famiglia raccontata in sei episodi che vanno dal 1999 al 2008. Il passaggio del tempo è dato dalla crescita di Elena, che da bambina vediamo diventare adolescente e dalle partenze e ritorni della madre Sara, a Milano col sogno di una carriera nel teatro, e dello zio Giorgio, che con la sorella ha un  difficile rapporto, anzi morboso, di amore e odio. Sempre presenti le due zie ottuagenarie, le sorelle del titolo, che non sono mai uscite dal paese, mai hanno lasciato la famiglia e le mura di casa (splendidamente riprese da Bellocchio in un chiaroscuro opprimente e caldo, al tempo stesso carcere e ventre materno).
Non apprezzo molto le storie intimiste, ma in questo film, anche se ci sta tutta la famiglia di Bellocchio, dalle zie ottuagenarie al figlio attore, anche se parla del suo paese natale, Bobbio, io ho rivissuto alcuni momenti della mia infanzia e certe sensazioni che provo quando torno a Matera e poi riparto, lasciando vecchie ferite, affetti sicuri e confortanti, fratelli e cugini che crescono senza di me, vite che avrei potuto vivere e da cui sono sempre scappata e che chissà, forse non erano così cattive. L'ho trovato un film poetico, struggente e vero; mi è piaciuto anche nelle piccole imperfezioni del suo sperimentalismo.
Alcuni girano interi film sulla pubertà e il passaggio all'adolescenza e non riescono a raccontare nulla di vero e significativo. A Bellocchio è bastata una breve sequenza. Nell'episodio precedente Elena era ancora una bambina che giocava con lo zio (e lui le diceva: basta con questi giochi, sei grossa, sei pesante adesso). E poi vediamo il ponte sul fiume che attraversa il paese affollato di ragazzini. Camera fissa, discreta, immagine sgranata. Elena cammina sorridente accanto a un tredicenne, mezzo bambino ancora. Ha la pelle abbronzata e dalla scollatura della canottiera estiva si intravedono i seni appena formati. Li vediamo arrivare in primo piano e uscire di campo, sorridenti di quell'allegria spavalda che si prova forse una sola volta nella vita.
Ora, ci sono anche un paio di cose che proprio non mi sono piaciute. L'episodio dell'insegnante distratta che, oltre al fatto che sta a pensione dalle sorelle Mai, non ha alcun legame con il resto del film. Alba Rohrwacher è una palla e recita sempre allo stesso modo. Potrebbe anche essere un intermezzo carino, in fondo, ma non ha alcun senso. La seconda cosa che non ho molto apprezzato è il finale. Conosco persone che per un finale sbagliato ripudiano tutto il film (o il libro). Per me ogni pagina di un libro, ogni fotogramma di un film o episodio di una serie ha pressappoco lo stesso peso. Conta il viaggio, non la meta. E questa gita di due ore sulle rive del Trebbia è stata piacevole e mi ha fatto ricordare belle cose.

sabato 12 marzo 2011

Il metronomicon di Alex Andreyev

Concludo questa breva rassegna di sommozzatori dell'immaginario, con un artista russo.
Alex Andreyev vive a Pietroburgo, lavora sia su tela che con programmi di grafica ed ha illustrato, fra gli altri, i libri di Stanislaw Lem.
Siamo sempre nel surreale, ma più sci-fi e con una spiccata fascinazione entomologica e post-apocalittica. L'ho scoperto grazie al blog weirdletter ed è stato amore a prima vista. È un piacere e un onore diffondere il contagio.
Dal sito web di Mr Andreyev è possibile acquistare alcune delle sue opere in alta risoluzione. Penso che per il prossimo compleanno mi farò regalare i bacarozzi giganti della metro di Mosca o "Friend", una donna con un topino che le abita nel seno.
Le seguenti immagini fanno parte del progetto "Metronomicon". Trovo la realtà di Andreyev molto meno "separata" di quanto dichiarato nel suo sito web. È possibile, già accade, da qualche parte. L'elemento straniante, anzi, è proprio quello più verosimile. La donna delle pulizie che spazza con terrigna rassegnazione il pavimento della metro, circondata dalle carcasse di blatte gigantesche. Lo sguardo fermo e professionale dei chirurghi. L'aspetto ordinario dei sedili su cui pende il bozzolo di qualche inattesa forma di vita.

mercoledì 9 marzo 2011

Bellissimi incubi

Nicoletta Ceccoli vive a San Marino e dipinge storie delicate e crudeli. Ricorda un po' Mark Ryden, ma c'è meno pazzia, meno cinismo. Ha creato un suo mondo, in cui è bello avventurarsi perché ricorda qualcosa che abbiamo perduto fra il primo bacio e il secondo, fra il giorno in cui abbiamo messo via i giocattoli e quello in cui abbiamo smesso di aspettare, tutta la notte svegli, il primo giorno di mare.
Fra il giorno in cui le favole hanno smesso di spaventarci e quello in cui nemmeno la realtà più sporca è riuscita a farci urlare. 

Per Venusdea è uscito un volume che raccoglie molte delle sue conturbanti illustrazioni. 136 pagine, 34 euro. Io lo prenderò alla Dorothy Circus Gallery a Roma, ma è possibile acquistarlo anche nel web.









Ecco altre bellissime illustrazioni che ho pescato in rete, ma basta fare una breve ricerca, immagini se ne trovano in abbondanza...


sabato 26 febbraio 2011

La chimica dei sogni

Se vuoi raccontare un sogno, ispirati alle formule sul taccuino di un fisico.
Se intendi rappresentare creature fantastiche, armati della pazienza di un entomologo.
Racconta una fiaba come se stessi tenendo una lezione di chimica.
Non sopporto chi crede che per scrivere un racconto fantastico o per creare un'opera surreale sia sufficiente accostare elementi a casaccio, con l'arroganza creativa di un bambino ingordo.
È necessario un rigore assoluto per rendere la leggerezza dei sogni.
Amo le opere di Mark Ryden perché dipinge fiabe e visioni oniriche con la precisione di uno scienziato.
Un alchimista, che lascia l'ultimo elemento nell'occhio di chi guarda.






Sogni d'oro

lunedì 21 febbraio 2011

Decabristi nel West, Stupidi Orsi e Piccole PJ Harvey crescono

Qualche giorno fa mi sono detta: è un po' che non ascolto dischi nuovi. Vediamo che c'è da pescare. E mi sono tuffata nel laghetto delle mie webzine di fiducia. Da kalporz a ondarock, da sentireascoltare a storiadellamusica echeggiava il nome dell'italobritannica Anna Calvi
Nome elegante, palindromo, copertina sensuale, ha per padrino Nick Cave e questo può bastarmi. Mi accorgo che c'è un certo hype e, a un primo ascolto su youtube, non mi pare giustificato. Inoltre non ho voglia di sentire la "nuova PJ Harvey", come la chiamano tutti. Già non mi esalta la vecchia. E poi sono piena di album tristi, pensosi, voci oscure, sonorità dark, malinconia e inquietudini da rock luciferino. Certe volte mi sembra di avere solo musica deprimente. Stamattina, per esempio, la sveglia dell'ipod ha cercato di uccidermi mandando in modalità "casuale" "Twilight, nihil" di Current 93, "No surprises" dei Radiohead, "When we reach the hill" dei Black Heart Procession e per finire "The Kubler-Ross model" di Matt Elliott. Ma io a quel punto ero già al quinto stadio di accettazione della morte. Insomma, ho bisogno di musica più allegrotta. Decido di ascoltare lo stesso la Calvi, ma scopro che sono usciti anche i nuovi album dei Decemberists e degli Akron/Family. Bene, bene, un po' di sana caciara!
"The king is dead" dei Decabristi è meno divertente di quanto mi aspettassi. Dove sono i pirati, i tagliagole e gli avventurieri di Castaways e Cutouts e di Picaresque? Questo è un bell'album folk, ma... ma le storie, le suggestioni sonore non sono granché. La voce di Colin Meloy è sempre seducente e nei testi c'è la solita fascinazione per le storie romanzesche. Al posto dei picari e delle improbabili dame medievali ci sono corpose ballate western e Calamity Jane da salotto. Ma non è al livello di Picaresque... Del resto non possono fare sempre lo stesso album, li capisco.
"The cosmic birth and journey of Shinju TNT" della famigliola hippy di Akron è proprio la caciara psichedelica che mi aspettavo. Un po' troppo Animal Collective. Un trip solare e sregolato, proprio quello di cui avevo bisogno. Ma mi rendo conto già al secondo ascolto che non siamo alla perfezione di Love is Simple. Manca la semplicità, mancano le idee davvero innovative. Le sonorità sono sì eclettiche e visionarie, ma senza ordine. E dopo due, tre ascolti, stanca. Assorda. Il cosmo è fatto anche di silenzio e semplice puro pop. Però, dai, almeno se mi sveglio con "Silly Bears" non rischio di avere impulsi suicidi. Al massimo mi verrà voglia di riempire il salotto di lucine natalizie e di ripescare dal fondo dell'armadio quella maglietta del San Francisco Avalon che non metto da anni.
E ora, Anna Calvi. Avevo una mezza intenzione di recensire questo suo fortunato album d'esordio, ma non ho molto da dire, perché, a esser sincera, le sue canzoni non mi dicono molto. Non ancora, almeno. Ha una voce sublime e rara, questo è indubbio. È un disco che ascolto volentieri. Non è neanche così deprimente e dark, come temevo.
Mi piace sì, ma è (quasi) tutto già sentito. L'intro chitarristica è un folk strumentale alla Calexico col piglio di Jeff Buckley. I sussurri e i crescendo di  "Morning Light" e "No More Words" sono forse la parte migliore dell'album, insieme all'intensa "The Devil". "Desire" sembra scritta e cantata da Patti Smith. Anzi, si potrebbe infilare in un suo album e nessuno si accorgerebbe che non è sua. Anche "Blackout" non mi convince. Certo, ce ne fossero di esordi così e di hype su album così solidi e sentiti.

martedì 15 febbraio 2011

Storie di venditori porta a porta - Il diavolo e la signora Dulcinea

Premessa: Quando questo blog era ancora su splinder, un post sul tema del desiderio era finito, chissà come, fra i primi risultati delle ricerche su google per la parola chiave "venditori porta a porta". Me ne sono accorta dai commenti piccati e talvolta offensivi dei venditori in visita: ormai ricevevo solo quelli. Prima di traslocare su blogger, avevo promesso di scrivere un articolo dedicato solo ai venditori. Eccolo qui. Forse seguiranno altri racconti della stessa "serie".

Il diavolo e la signora Dulcinea.

Si dice che il diavolo, stanco di comprare anime, indossò il suo completo migliore di seta saturnina e si improvvisò venditore. Improvvisare non è però il temine corretto, probabile che l'abbiano inserito qui i suoi denigratori. Non improvvisa nulla il diavolo, e poi vendere non è così diverso dal rovesciare un guanto. Come andò, riuscì a vendere almeno un tagliagole, un aspirasoldi, un crematore? No, fallì, ma solo per un difetto di forma, che non sia mai detto il diavolo non sappia mercanteggiare. È dei mercanti il maestro, lo sanno anche i ciottoli di Porta Portese, lo sussurrano le lanterne di Temple Street, lo mostra la sabbia che s'infila negli occhi a Kahn Al-Khalili, lo cantano a squarciagola gli ubriachi di Camden e gli archi del Gran Bazaar ne serbano l'arcano, perché c'è sempre chi è disposto a comprare un segreto di pulcinella. Già s'avvide il demonio che qualcosa non andava alla prima transazione, nel salotto di trine, umori scaduti e sogni appassiti per profumare gli ambienti della signora Dulcinea, che della sua intimità non più sentiva l'odore e non s'illudeva certo di risolvere il problema con un diffusore elettrico. Nè, tantomeno, con l'anima di Jean-Baptiste Grenouille. Si premurò il bel giovine di vello di vacca vestito, tutto nero come una cassa da morto o come il tisto dietro le recchie del nipote, di dirle che persino i personaggi d'inchiostro vanno all'inferno, che non vendeva lui animelle di seconda mano. La Dulcinea s'indispettì, che vecchia era, mica scema e lo mandò all'inferno, che di bellimbusti fetenti (ahimé, quanto avrebbe desiderato poterne invero sentirne l'odore) sbavosi dietro alla sua pensione, ne aveva piene le tasche. Al che tornò un attimo a casa il demonio, ma solo per prendere il libro. Lesse alla Dulcinea, che sul vecchio dondolo s'appisolava a tratti, tutta l'opera letteraria nota come "Il Profumo". E che devo dire, giovinotto, commentò alla fine, bravo mi sembra, è bravo, mica lo nego. Fece un ruttino per smaltire il ketoprofene preso col succo d'orzata che tanto l'infanzia le ricordava e lasciò ciondolare la testa, ripetendo "bravo, bravo", come faceva quando il concorrente indovinava il quiz. Ma che faccio, poi con l'anima sua? Nel diffusore la metto? E non riferirò cosa il diavolo rispose, poiché giammai intendo dovergli pagare il copyright. Basti sapere che la convinse. Le concesse anche un giro di prova. E non si contano le stelle che negli occhi della Dulcinea s'accero quando il Grenouille ridestò le sue narici addormite! E mo' come ti pago?, chiese alfine la vecchia. Che so' pensionata io e vengono i nipoti, non ci compro le caramelle? Non ci compro i kindèr e i pupazzetti del cinese, che prima era tuttomille, mo' s'è messo la targa nuova tutt'a un euro. E l'interruppe il venditore, arrecandole grande gioia perché non un centesimo della sua pensione chiedeva per l'anima del Grenouille. Non abbocca un falsario a una banconota tarocca. E il re dei falsari non si fa pagare con la moneta falsa che il mondo muove e ch'egli stesso, dall'inizio del tempo, ha messo in circolazione. L'anima della Dulcinea chiese, e la Dulcinea, senza un fiato, gliela rese.


lunedì 7 febbraio 2011

Il razzista in "buona fede"

Ho letto ieri che, nella scuola dell'infanzia di Fossalta di Piave in Veneto, un sindaco leghista...
E qui si crea attesa: che avrà fatto? Qualcosa di disgustoso, immondo, abietto, meschino? Ehi, ma sempre questi stereotipi. I sindaci leghisti sembrano gli orchi di un brutto romanzo fantasy. Ebbene sì, ha fatto una cosa meschina, abietta, disgustosa. Ai danni di una bambina di quattro anni. La realtà, purtroppo, è piena di stereotipi e non la possiamo nemmeno cestinare.
Per i dettagli della vicenda rimando all'articolo su "Il Fatto Quotidiano".
Riassunto per chi non abbia cliccato il link (sicuro? Guarda che l'articolo intero è meglio del riassunto):
Per non allontanare dalla mensa una bimba di origini africane, le maestre si privano di un pasto a settimana, ma il sindaco le accusa di danno erariale e le minaccia: denuncia al provveditoriato e sospensione dell'insegnamento per chi regala la sua cotoletta a una bimba di quattro anni. La direttrice dell'asilo lo spalleggia. E quando l'intervistatore domanda se alla base di quella decisione non ci sia il razzismo, risponde: “Penso proprio di no. Anzi, questa vicenda è la migliore garanzia della buona fede del sindaco: la bimba viene trattata come verrebbe trattato un qualsiasi italiano”.
La frase mi ha colpita, perché l'ho sentita tante volte per giustificare piccoli e grandi soprusi, violenze nascoste, crudeltà di varia natura. È una frase da manuale nella retorica del razzista in "buona fede".
L'ultima volta che l'ho sentita ero in biblioteca con F., una sedicenne iscritta al secondo liceo scientifico. F. è intelligente, studiosa, assennata. In Iraq andava bene in tutte le materie, anzi, era la prima della classe, mi confida con orgoglio misto alla frustrazione di aver dovuto ricominciare dal primo anno il liceo in Italia e di rischiare una seconda bocciatura, nonostante gli sforzi e la tenacia che un qualsiasi studente italiano non si sogna nemmeno. Non perché sia pigro o privo di immaginazione, ma per una ragione molto semplice: gli insegnanti, pressappoco, parlano la sua lingua.
Ho cominciato a seguire F. e suo fratello l'estate scorsa, per aiutarli a superare gli esami nelle materie in cui erano stati rimandati. (E se qualche orco nazi-leghista vuole accusarmi di danno erariale perché do lezioni private gratis, rispondo: tiè, non sono un'insegnante). Purtroppo, non ce l'abbiamo fatta. F. e suo fratello si sono iscritti a un altro liceo scientifico (non al professionale, come pretendeva l'insegnante che li ha bocciati). L'altro giorno, cercando di fare un po' il punto della situazione, ho chiesto come stava andando e se stavano prendendo buoni voti. F. ha risposto, ridendo, che di questo passo a ottant'anni frequenteranno ancora il secondo anno di liceo scientifico in Italia. Mi racconta dell'ultima interrogazione d'inglese.
Il prof le fa una domanda ed F. chiede di ripetere perché non ha capito. Il prof la ignora. Lei gli confessa di non capire il suo accento (immagino la scena: lui presume di parlare come un nativo oxfordiano e invece biascica in inglese maccheronico). Il prof risponde che non intende ripetere la domanda.
«Volete essere trattati come italiani e non come stranieri? Be', vi sto trattando come italiani. Così ha detto e mi ha rimandata a posto. Senza voto», dice F. e mi guarda.
La guardo anch'io e vedo una ragazza di sedici anni che studia come un'ossessa per passare l'anno, anche se non sarà più la prima della classe. Sa di lavorare dieci volte più dei suoi compagni, eppure un insegnante scambia una legittima domanda per una richiesta di "favoritismo". Vedo una ragazza che arriva, una mattina, tutta luminosa in viso perché ha un cappotto nuovo ed è venuto a trovarli un cugino dalla Germania. Una sedicenne che vuole degli amici veri, vuole che i genitori siano orgogliosi di lei, vuole essere amata, vuole rispetto. Vedo un'adolescente che ha visto ammazzare il suo insegnante davanti alla classe. Che per sopravvivere è dovuta scappare dal proprio paese. Che non sa se rivedrà più gli amici, i cugini, gli zii, la grande casa in cui è nata. Vedo F.
e mi chiedo: ma cosa diamine ha visto il prof d'inglese? Un manichino col cartello "straniera wannabe italiana"? Dove sono questi ipotetici, inesistenti "stranieri" senza volto? Come ha fatto a non vedere F. anche se ce l'aveva lì, in carne e ossa, accanto alla cattedra? E se l'ha vista, perché fingere e scaricare su di lei frustrazioni e paure? E già abbastanza dura essere adolescenti.
Forse questo sindaco leghista, questo insegnante di liceo e tanti altri (davvero tanti, pare) che con la crudeltà, ma senza l'innocenza, dei ragazzini, compiono piccole o grandi violenze contro bimbe di quattro anni e adolescenti in fuga dalla guerra, vedono il mondo in numerini verdi e definizioni da opinionista della domenica, un po' come Terminator. O come i Dalek. Umano bzzzz straniero sterminare sterminare. Non lo so. Sinceramente provo a capirli, ma non ci riesco.
Eppure si presume che siano esseri umani anche loro, nonostante la reazione del sindaco leghista, ad esempio, possa far sorgere qualche legittimo dubbio. È così difficile comprendere che gli altri non vogliono essere trattati come "italiani" o "riempi con una nazionalità a caso", ma come PERSONE?

lunedì 31 gennaio 2011

Meret Becker - Nachtmahr

Dei sogni e degli incubi penso quello che Tolstoi scrisse delle famiglie: tutti i sogni felici si assomigliano.

Per questo preferisco gli incubi.

"Nacthmar" dell'attrice berlinese Mert Becker è una collezione di ballate macabre, mostri carezzevoli, incubi da salotto. Non trasmettono l'inquietudine dolorosa delle canzoni dei Coil, ad esempio, ma neppure si limitano a evocare i fantasmi addomesticati del dark cabaret.

Ritmi tradizionali di marcette e ballate dilatati dalla voce infantile ed erotica della Becker, strumenti non convenzionali, tipici dell'industrial più raffinato (non a caso l'album è coprodotto da Alexander Hacke degli Einstürzende Neubauten).

Ogni volta che ascolto quest'album vado in un luogo conosciuto eppure terribilmente estraneo, che cambia forma in continuazione, come certi posti visitati nel sonno che ci sembrano familiari solo perché ci siamo già stati in un altro sogno.


Ora chiudi gli occhi e tira fuori la lingua per assaporare questi fiocchi di musica tenera e acida.
Le tracce di questo disco ti porteranno al tuo incubo preferito, come molliche di pane lasciate sul sentiero.
Nacthmar è cibo per l'immaginazione.





domenica 23 gennaio 2011

Perché scrivi?

Qualche tempo fa, su repubblica, uscì un articolo sulle risposte date da otto scrittori alla domanda: perché scrivete?  Un mio fbf (facebookfriend) scrittore rigirò la domanda. Io, dopo aver pensato di liquidare la questione con un annichilimento delle sue implicazioni retoriche ("perché mi piace", "perché sì" "perché no?"), mi sono accorta di non sapere cosa rispondere. E questo mi disturbava. Beh, mi disturba anche non saper rispondere a un problema di fisica quantistica o alle domande su dio, l'universo e tutto quanto. Ma col tempo, me ne sono fatta una ragione. E la fisica quantistica passi. Non hai studiato. Ma non sapere la risposta a questa domanda è come andare male in educazione fisica (ehm... in realtà io avevo l'insufficienza in educazione fisica. Quindi, so di cosa parlo).
Insomma, dovevo trovare una risposta.
Era necessario andare alle radici del problema. Come in una seduta di alcolisti anonimi, mi sono fatta le classiche domande: quando hai cominciato? Perché continui a farlo?
Ho cominciato a sette anni. Mia zia mi aveva regalato il libro illustrato di Biancaneve. Avevo già letto altre favole e mia madre me ne aveva raccontate tante prima che imparassi a leggere. Le favole erano una droga. Ne volevo sempre di più e avevo messo a punto una serie di tecniche per non restare mai a secco: "un boccone in cambio di un paragrafo", "leggimi la sirenetta o butto il biberon nel water" e così via. Ero arrivata a ricattare persino mia nonna per ottenere una dose di Grimm o di Andersen. Per loro fu una vera liberazione quando imparai a leggere. E poi arrivò Biancaneve. La storia la conoscevo già. Avevo pure visto il cartone! Ma, con quel piccolo libro illustrato, per la prima volta, vidi il burattinaio e toccai i fili.
Il piacere che provavo (e che provo ancora) nell'ascoltare e poi nel leggere storie era troppo grande da contenere, dovevo condividerlo, dovevo restituirlo. Un po' come nel sesso: dare e ricevere piacere sono interdipendenti. Certo, quando avevo sette anni, non pensai esattamente questo.
Avevo appena scoperto che la mia droga non era naturale, ma poteva essere creata. Mi sentivo come doveva essersi sentito Albert Hoffman quando aveva deciso che da grande avrebbe fatto il chimico.
Ero turbata, vivevo emozioni intense e sconosciute (l'invidia della matrigna-mamma, tanto per dirne una) e, dopo aver compreso che quella storia l'aveva pensata e raccontata una persona, decisi che volevo provare anch'io a tenere i fili. Per il piacere di dare piacere. Allora non sapevo del sesso, ma ancora meno sapevo che nella scrittura non si nasce equipaggiati.
Cavoli se è difficile imparare a stimolare le zone erogene dei lettori! È vero che anche nel sesso la tecnica si perfeziona. Ma persino chi è alle prime armi all'orgasmo in qualche modo ci arriva. E magari ci fossero solo i lettori. C'è tutta l'infrastruttura. Questo argomento lo affronterò nel prossimo post: come trovare il punto G dell'industria editoriale.
Ora veniamo alla seconda domanda: perché continui a farlo?
Questa è più difficile. Sento che la spiegazione di prima non basta. Potrei anche rispondere: porco dinci, mi alleno da quando ero una tappetta di sette anni! Che faccio, secondo te? Mollo tutto?
E potrebbe anche bastare come risposta, no? No. Dati mancanti. Biiiip.
Poi ho pensato alla morte (eh, beh, ci penso spesso) e dopo aver superato, per istinto di sopravvivenza, il solito momento di paralisi totale (in cui è impossibile "pensare" davvero) mi sono detta: ok, e se... e se non dovessi morire, se potessi vivere per sempre? Il gioco dell'"e se" nel caso della morte ha degli ovvi limiti di logica, ma ho giocato lo stesso (anche perché prima o poi si deve passare alla fase dell'accettazione) e ho provato a rispondere con sincerità. Ecco, potrei continuare a fare tutto quel che faccio adesso e di più (non faccio l'elenco, si avvicina all'infinito). Potrei esplorare tutto l'universo, leggere tutti i libri. Che figata l'immortalità! E potrei scrivere... no, smetterei di scrivere. Dare e ricevere? Tiè. Non devo morire, posso permettermi di ricevere soltanto.
Un supersatellitericevitoreuniversaleinfinito.
Sono sicura: se non dovessi morire, non scriverei più una singola storia.
Quindi scrivo perché sono mortale.
Qui può sorgere un equivoco che ci tengo molto a chiarire.
Non scrivo per lasciare qualcosa di me. Nemmeno un figlio lo farei per questo motivo. Un figlio è una persona. Indipendente, unica. E un libro se ne va per conto suo, si trasforma e si moltiplica per ogni persona che lo legge. Non credo all'eternità dopo la morte e neppure ai suoi surrogati terreni.
Io la penso così: posso anche fare 10 figli e pubblicare 100 libri e piantare 1000 alberi, ma quando schiatto è finita. Di me non resta niente di niente. Una cosa ho imparato da Biancaneve: lascia che figli, alberi e libri siano belli senza di te e vivano la loro vita. Chiusa parentesi.
Quando ho pensato di smettere di scrivere (a causa dell'ipotetica immortalità) mi sono sentita terribilmente triste. E vuota.
La morte mi fa paura. Tantissimo. Ma, in qualche modo, l'eterna frigidità mi spaventa ancora di più.

Ora, rigiro qui la domanda. Vendicati pure con papirozzi più lunghi e sbrodolosi del mio o con geniali aforismi o con nuove forme narrative, la perchescrivetenarratologia non ha limiti. Let's go.

giovedì 13 gennaio 2011

Blog Warming Party


Benvenuto nella nuova casa del Cronopio sul Comò. Appendi pure il cappotto e accomodati. Fai un giro nelle nuove stanze (libri, formiche e corridori) e lascia un commento sul libro degli ospiti. Fruga liberamente nei cassetti e, se vuoi tornare a farmi visita, salva il blog fra i preferiti, abbonati ai feed o iscriviti al club degli "avvistatori tenaci".
Su splinder avevo un monolocale e non potevo fare molte modifiche o personalizzare gli spazi. Ora ho un vero appartamento e sono libera di abbattere muri e appendere tutti i quadri che voglio.
Questo passaggio rispecchia quello che ho fatto l'anno scorso insieme a mio marito. Quando ci siamo trasferiti in un piccolo ma comodo bilocale, ci siamo chiesti come eravamo riusciti a sopportare la vita nello spazio asfittico di una monocamera di 24 mq per quasi cinque anni, con un'arcigna padrona di casa che non ci permetteva nemmeno di appendere un poster. Per la prima volta abbiamo dato una festa di benvenuto, perché per la prima volta ci sentivamo davvero a casa.
Dopo il trasloco di questo blog ho provato quasi le stesse sensazioni. È stato faticoso, ma ne è valsa la pena. Su splinder non permettono di esportare i blog, forse perché temono una fuga in massa. Alcuni volenterosi hanno sviluppato dei plugin che consentono di esportare un blog da splinder a wordpress. E da lì è possibile importare su blogger. Ma è necessario installare wordpress in locale. Ci ho provato. Non ha funzionato perché non riuscivo a scaricare il programma. Si interrompeva il download al 20% e, anche dopo una notte intera, non faceva progressi. E così, approfittando di una pausa lavorativa, ho copincollato tutti i post. Non sono tanti, ma è stato come usare il motorino per trasportare i pacchi uno a uno nella nuova casa. Dopo un po' ti vien voglia di mollare qualcosa per strada (una mezza dozzina di post, in effetti, l'ho buttata via).
L'idea di spezzare il blog l'ho presa in considerazione solo per un millesimo di secondo. Non volevo lasciarmi dietro il cadavere di un blog-archivio.


Tutta la vicenda mi ha fatto venire in mente gli scenari possibili di un futuro in cui, anziché i blog, siano le persone stesse a vivere online, dopo la morte fisica. Sull'argomento c'è già una discreta letteratura. Cito i primi che riesco a ricordare: l'anime "Ghost in the Shell", il racconto "Alice 2.0" di Sergio Cicconi, presente nel numero 61 di Robot, un episodio di Doctor Who (Silence in the library).
Ora, immagina che, anziché le imprese di pompe funebri, le prime a essere contattate dopo un decesso siano le piattaforme di hosting. Ci saranno quelle gratuite e quelle a pagamento.
Nella scelta della piattaforma su cui passare il resto dell'eternità bisogna porre molta attenzione a tanti aspetti: la stabilità e la capienza del server, la possibilità di avere una vita sociale, di viaggiare, di essere sempre raggiungibile da amici e parenti, di rendere gradevole e accogliente la nuova casa nel cyberpazio, di essere protetto da malware e spie. E di poter traslocare in un altro quartiere o città quando desideri. Nessuno vorrebbe essere cyberizzato in un ghetto. O in una cybernazione con le frontiere chiuse.

Per inaugurare la casetta nuova del blog ho scritto tre racconti freschi freschi sull'argomento.

#1 Storia di M. (un dramma)


M. nella cortavita faceva il saldatore. La sua seconda vita è cominciata su una Soul Hosting appena creata. Sua sorella, l'unica parente in cortavita, aveva un'impresa di virtualcoffee brasiliano, ma era andata in bancarotta quando fra i defunti era tornato di moda lo spleensleep (una miscela di sonniferi che consentiva di andare in modalità sleep finché nel proprio sito non succedeva qualcosa d'interessante). Inoltre, mantenere tre generazioni di zie, zii, nonni, bisnonni, nipoti sulle varie piattaforme aveva prosciugato i fondi di famiglia. Così, alla fine della cortavita, M. era finito su Freeworld. Ma la libertà era solo nel nome e nelle invasive pubblicità che andavano a intasare le caselle di spam delle persone in cortavita.
M., dopo aver sopportato due decadi di dittatura, ha tentato la fuga. Si è rivolto a dei programmi pirata che gli hanno fornito un plugin per navigare nel web aperto senza essere tracciato e approdare su un'altra piattaforma. Il sogno di M. è di ricongiungersi ai suoi parenti in Moonland. Ma la Soul Hosting ha una capacità di archiviazione ridotta e accetta nuovi arrivi solo dopo selezione in cortavita. M., dopo aver rischiato di perdere tutti i suoi ricordi, i pensieri e persino i programmi operativi nell'avventurosa traversata, è giunto in una delle più grandi Soul Hosting internazionali. Ma i cycop l'hanno beccato subito.
Ora M. è rinchiuso in una cartella di detenzione temporanea. Domani lo reimporteranno su Freeworld. La grossa Soul Hosting, di cui non faremo il nome per non essere censurati, è a conoscenza del destino dei fuggitivi su Freeworld. M. sarà cancellato. Firma ora la petizione per l'abbattimento delle barriere e per un libero Soul Hosting. Non portiamo anche in paradiso gli orrori della cortavita.


                                                                                                        


#2 La nonna vi odia, provinciali del botdick! (una commedia)


«Ma', avete pensato all'esportazione della nonna da Amicipersempre.it?»
«No, non abbiamo i soldi»
«Ma mi sta dando il tormento. Mi intasa la casella di posta e ieri mi ha mandato un virus che mi ha sputtanato il Game Center. Non ce la faccio più»
«Sopporta. Le passerà»
«Senti, rinuncio alla paghetta e giuro che mi manterrò da solo all'università lavorando al McDonald»
«Non se ne parla. Hai diritto a goderti la tua cortavita. Ci stanno vampirizzando. Ormai sembra che l'unica vita sia quella degli Hosting. È una questione di principio»
«Tua madre ha ragione. Nell'ultimo mese si sono suicidati altri tre dei miei colleghi. Se continua così andremo in fallimento e verremo licenziati tutti. Chi manterrà i server se vanno a fare tutti la bella vita sugli Hosting?»
«Dovrebbero fare una legge che vieti la trasmigrazione dei suicidi»
«Sì, e perché non sostieni anche la legge anti-aborto? Cavoli, non vi facevo così cattofetish»
«Che c'entra? Solo perché il Vaticano, una volta tanto, sostiene una legge giusta, non dovremmo rifiutarla a priori»
«Infatti. Io e tua madre ti abbiamo sempre insegnato a pensare con la tua testa e a valutare le idee indipendentemente da chi le professa»
«Vabbe', sì, grazie. Farò sempre tesoro delle vostre pillole di saggezza. Ma ora chi mi libera dalla nonna?»
«Aaah, che pazienza! E dove vuole andare di preciso?»
«Su Friendsforever.com. Dice che Amicipersempre.it è troppo provinciale»
«Ma se non sa nemmeno l'inglese!»
«Dice che se continua a vivere su Amicipersempre non lo imparerà mai»
«Comprale un corso di lingua e dille che può comunicare via simpletext in chat con tutti gli inglesi che vuole»
«Mamma, non hai capito. Vuole farsi un americano che ha conosciuto in chat»
«Farsi in che senso?»
«Fare sesso, scopare! Cavoli, nonna ha ragione, siete proprio dei provinciali»
«Torniamo al punto di partenza: non abbiamo i soldi»
«Ed è una questione di principio»
«Vi prego, aiutatemi. Ha minacciato di distruggermi il computer»
«Va bene. Dobbiamo bloccarla»
«Non lo diresti se fosse tua madre!»
«Caro, mia madre era troppo intelligente per andarsi a infognare in una Hosting nazionale. Amicipersempre se l'è scelto lei e ci è pure costata cara»
«Sì, sì, bloccatela»
«E va bene. Ma solo per un paio d'anni. Finché non si sarà calmata. Dio, cosa penseranno i miei colleghi se blocco l'accesso a mia madre?»

                                                                                                        


#3 Ultimo messaggio (una storia d'amore)


Amore mio,
quando ti svegliarai, non mi troverai al tuo fianco. Sei morta da cinquant'anni ormai e se mi vedessi, forse non mi riconosceresti nemmeno. Sono grigio, flaccido, stanco. Tu sei sempre giovane e meravigliosa. Ti conosco più di quanto avrei potuto conoscerti se fossimo invecchiati insieme.
Ho trascorso ogni minuto degli ultimi cinquant'anni a traferire i tuoi ricordi, i tuoi pensieri, la tua bellissima anima in una Soul Hosting. Ora la tecnologia è migliorata ed è possibile trasferire anche chi è morto all'improvviso, senza poter fare un pre-downloading.
Ti ricordi, stavamo andando a trovare i tuoi genitori per annunciare il nostro matrimonio. Un camion ci è venuto addosso. L'asfalto era gelato. Il guidatore ubriaco. Ho caricato sette minuti fa il tuo ultimo ricordo. Ho il cancro.
Non m'importa di morire. Sei tu la mia vita.
Ora che ho finito, non so cosa fare. Mi avevano detto che un trasferimento manuale era impossibile, che nessuno l'aveva mai tentato perché avrebbe richiesto almeno cento anni di lavoro. Io ci sono riuscito in cinquant'anni. Ho dormito poco e, quando dormivo, sognavo te.
Ho appena ricevuto la lettera di rifiuto dell'ultimo Soul Hosting a cui avevo chiesto il pre-download. Dicono che dal test sono risultato ridondante. Tutti i miei ricordi coincidono con i tuoi. Quelli che avevo prima dell'incidente sono una percentuale troppo bassa. Nessuno accetta mirror-life. Non so come convincerli che non sono una copia. Sai, alcuni tentano di creare una seconda copia di se stessi nel timore di essere cancellati per sbaglio o per un bug di sistema. Le mirror-life sono giustamente vietate.
Ma un caso come il mio non si è mai manifestato prima e il sistema centrale non capisce l'amore.
Una piccola Hosting mi ha proposto un trasferimento parziale. Accetterebbero solo la mia vita fino al giorno del nostro incontro. Da allora i ricordi si fanno troppo simili ai tuoi, perché ho rivissuto troppe volte i nostri momenti insieme dal tuo punto di vista per conservare una prospettiva personale.
Potrei continuare a vivere in una Hosting e tu potresti cercarmi. Mi racconteresti delle nostre cortevite e potremmo ricominciare la nostra storia. Prima o poi, forse, riusciremmo a ottenere un ricongiungimento. Ma non voglio perderti, non voglio dimenticare chi sei. No, non cancellerò gli ultimi cinquant'anni.
Io e te ora siamo una cosa sola.
Ti  conosco, amore mio, e so cosa penserai. Sarai confusa, arrabbiata, mi odierai per averti amato con quello che ti sembrerà mostruoso egoismo.
Ma, quando avrai vissuto qualche anno nelle Hosting, capirai perché l'ho fatto. Perché ho scelto la vera morte.
Lì non è possibile amare.
Lascio a te la scelta. Ho installato un plugin criptato di eutanasia. Non preoccuparti, anche questo messaggio è criptato, ma fai attenzione: se te lo trovano, lo cancellano e dovrai restare nell'Hosting per sempre. Non è la vita che conosci. Avrai migliaia di amici, potrai scambiare pensieri, scaricare ricordi. All'inizio ti sembrerà fantastico. Ma scoprirai di essere sola e di non poter amare mai più. Non come ama chi è destinato a morire.
Tuo, per sempre
A.


domenica 9 gennaio 2011

Arrivedorci! Arrivedorci!

Ho aperto questo blog perché avevo sognato uno scarafaggio in bicicletta. Perché mi ero svegliata con una canzone dei Radiohead che mi chiedeva se ero ancora una sognatrice. Perché non scrivevo da tanto tempo e, anche se avevo parecchie idee e storie da raccontare, non avevo più un briciolo di entusiasmo e con uno sterile piacere autolesionista aspettavo solo il momento in cui le avrei dimenticate.
Non sapevo cosa sarebbe diventato, non sapevo cosa avrei scritto. All'inizio ho cercato di dare una parvenza di ordine. Ho progettato e annunciato rubriche che contano solo un paio di articoli. Le recensioni di libri, film e musica, il racconto a puntate (interrotto proprio quando stava cominciando a seguirlo qualcuno). La rubrica sul post mortem.
Per un anno l'ho abbandonato. Quando ho ripreso ad aggiornarlo ho rinunciato a ogni pretesa di ordine: questo è un blog-miscellanea, un minestrone di tutto quel che mi interessa e mi piace condividere, un mostriciattolo ibrido e disordinato che mi sono rassegnata ad accettare.
Sono un cronopio che nutre una ammirazione segreta e ossessiva per i fama, anche se i miei tentativi di imitazione vengono prontamente smascherati.
Dal tono di questa premessa può sembrare che stia per annunciare la chiusura del blog. No, non ci penso nemmeno (bugia: ci penso almeno una volta a settimana), sono affezionata al mio cronopio. Voglio solo cambiare piattaforma. Sto facendo alcune prove per passare a blogger. Con le "pagine" permette di raggruppare i post per aree tematiche e ci sono tante altre funzioni interessanti. Forse alcune cose potrei farle anche con splinder, ma non ho tempo e voglia di smanettare con i template. Blogger è intuitivo, pratico: finalmente mi permetterà di creare una sezione con la presentazione dei miei libri editi, una che raccoglierà i vari raccontini e, in definitiva, il blog, grazie alla suddivisione tematica in pagine, avrà un aspetto quasi ordinato e rispettabile.
Ora, prima del trasloco, devo solo capire come esportare il blog e scrivere un post di saluto per i venditori porta a porta (non si sa mai, dovesse andare storto qualcosa). Mi sembra doveroso salutare i principali lettori e commentatori del blog prima di tentare questa avventurosa trasmigrazione (dicono che sia alquanto arduo, se non impossibile, esportare da splinder a blogspot).
Sarà perché è un mostriciattolo indisciplinato e mutaforma che il cronopio è finito nella prima pagina dei risultati su google quando cerchi "venditore porta a porta"? Si merita solo assurdità del genere, lo so.
Fino a stamattina non capivo il successo di questo post. Che diamine: sembrava che il blog fosse visitato solo da venditori porta a porta ansiosi d'insultarmi. Il tema del post, fra l'altro, è il desiderio. La natura mimentica del desiderio, per l'esattezza. E mi sembrava anche uno dei migliori post che avessi scritto. Probabilmente non lo è visto che viene continuamente frainteso. Per farmi perdonare ho deciso di scrivere un post per i venditori, un elenco di veri consigli sulle vendite o qualcosa del genere. Ma non so nulla sull'argomento (in realtà, fra le insensate e caotiche cose che ho fatto nella mia vita posso contare anche un mini-corso di marketing). La verità è che mi vengono in mente solo racconti. La prossima volta ne butterò giù qualcuno.
Ah, se qualche generoso passante, venditore o no, ha qualche consiglio da darmi sul trasloco del blog, avrà la mia sincera gratitudine.
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