Rapporti di ricerca sulla vita sessuale delle formiche australiane e sugli ultimi avvistamenti di corridori onirici

sabato 22 dicembre 2007

Rivoluzioni interiori e inutili classifiche.

L'evento più gratificante della scorsa settimana è stato l'ascolto dell'ultimo lavoro degli Einstürzende Neubauten, Alles Wieder Offen e la scoperta di questo rivoluzionario collettivo berlinese e di Blixa Bargeld, poeta, musicista, intellettuale, performer teatrale. E' stato un momento fondamentale, e fonte di grande eccitazione, perchè sapevo che sarebbe stata un'altra piccola rivoluzione interiore, come quando ho letto per la prima volta le Illuminazioni di Rimbaud a quattordici anni (ricordo ancora il giorno in cui ho avuto fra le mani quell'edizione millelire, quando non sapevo ancora che mi avrebbe cambiato la vita). O quando in una notte insonne di ultimo anno di liceo sono capitata su fuori orario e ho visto "Un anno con 13 lune" di Fassbinder (e ho deciso che avrei studiato cinema). Probabilmente se avessi conosciuto gli Einstürzende qualche anno fa l'impatto sarebbe stato più potente (ma come ho fatto a farmeli sfuggire per tutti questi anni, con tutta la musica che ascolto poi?) Ero in fissa con l'arte e il teatro espressionista, mi interessavo a body artisti e performer del corpo post-organico, ho anche recitato un paio di volte con Judith Malina e il Living Theatre... insomma gli anarchici terroristi sonori "Nuovi edifici da abbattere" sarebbero capitati a fagiolo. Ma non è mai troppo tardi per le rivoluzioni, altrimenti si è vecchi, o già morti.
Questo lungo preambolo per una stupida classifica? E perché no...

Disco dell'anno va a....

ARCADE FIRE - NEON BIBLE
Che si aggiudicano anche il miglior LIVE 2007


Subito seguiti dagli
Einstürzende Neubauten, ovviamente, con Alles Wieder Offen





Il terzo posto ex-equo a i RADIOHEAD per In  Rainbows (che si aggiudicano anche il premio PEGGIOR album cover... e mica la posto... sta male accanto al magico cuore di lana) e agli AKRON/FAMILY per Love Is Simple (che vincono invece il premio MIGLIOR album cover)



Seguono, in ordine casuale:

Animal Collective – Strawberry Jam
Marmellata sonora di psichedelia, folk ed estatici filamenti di pop
Burial - Untrue
Inquietudine, spleen, visioni suburbane nel dubstep metropolitano.
Jens Lekman – Night Falls Over Kortedala
Romanticismo e ironia per un pop senza tempo
Odawas – Raven And The White Night
Paesaggi cinematografici fra Morricone, Lynch e Pink Floyd.

E ancora, nostri signori dell'oscurità e dei sogni:
The Warlocks – Heavy Deavy Skull Lover
To Kill a Petty Bourgeoisie - The Patron

E ci sarebbero anche gli Okkervil River, Air, Iron % Wine, Stateless, Efterklang, Modest Mouse... ma le classifiche devono fermarsi a dieci, perché tante sono le dita della mano. E dei piedi. E se avete più dita siete liberi di pescare un disco a caso fra quelli dei musicisti sopra nominati.

lunedì 17 dicembre 2007

La radio del cronopio

Come si può notare dalle due poesiole qui sotto, non sono stata molto bene ultimamente. E ascoltare ripetutamente la discografia completa dei The Black Heart Procession non è stato molto d'aiuto.
Ve li consiglio caldamente, tutti i dischi: 1, 2, 3 (si intitolano così), The Spell e Amore del Tropico. E non solo perché i Radiohead vi sembreranno degli allegri ottimisti al confronto, ma per l'intensità e la qualità musicale delle loro ballate.
E, mentre mi ripropongo per l'ennesima volta di aggiornare più spesso questo blog, vi segnalo una novità.
Avrete notato il simpatico gadget che ho sistemato sotto il maialino. E' la mia playlist di last fm. Ogni settimana (per l'esattezza il lunedì o il martedì) seleziono per voi 20 brani bellissimi (la prima playlist ne conteneva 50, ma è troppo impegnativo selezionare 50 nuovi brani ogni volta... e comunque chi li ascolterebbe tutti? Direi che 20 bastano).
Per ascoltare la radio del cronopio, quindi, basta cliccare sul play lampeggiante e godere di 80 minuti circa di musica di qualità (oggi, la modestia si spreca).
Buon ascolto!

lunedì 10 dicembre 2007

Ricordare e dimenticare.

Non scrivo poesie, e non capiterà più. Ma avevo bisogno di dire un paio di cose e questo era il modo in cui riuscivo a dirle.

Ad un amico sognatore che si è quasi distrutto con l'eroina e che ho perso di vista.

Marzo di latte nome di
spine lontani termidori
giocare con le voci candite
ventisette anni in un mese
nel giardino del tempo
trovare una lucertola
in panne e soldati nel
cuore del sogno che si
grattano le ferite.

Marzo di latte nome di
spine lontani termidori
lamelliformi desideri
nuotano a rana nel palazzo
del Presidente e la fine
del lavoro non perdona
i fragili sciolti fannulloni
dalle vene sognanti

Marzo di latte nome di spine.....


Questa è per me, e per chi la vuole.

Appendi la tua famiglia ad un gancio
da macellaio
e fallo scorrere lontano.
Ritaglia il tuo cuore gonfio
di pus cattolico e
dimenticalo su un post-it giallo.
Sperpera gli amici
al gioco
il dolore non vale la posta.
Stipa i tuoi sogni in una scatola
con un biglietto
per aprirla solo quando morirai.
Ho piegato i petali del papavero
ma non è diventato una bambola.
Raccontatemi ancora una bugia
che desidero crederci
perdutamente.

giovedì 6 dicembre 2007

To Kill A Petty Bourgeoisie - The Patron

Arriva dal Minneapolis un nuovo duo uomo-donna: Jenha Wilhelm (voce, multistrumentista) e Mark McGee (elettronica, multistrumentista). “The Patron” è il loro album di debutto per l’etichetta indipendente Kranky.


Il genere è una raffinata miscela di elettro-noise su scenari gotici, trip-hop (i Portishead più cupi) e dream-pop alla Slowdive scarnificato in uno shoegaze che richiama i Bloody Valentie più eterei. Ecco le radici sonore del duo, ma il risultato è una pianta aliena e malsana, con foglie traslucide dagli strani colori, sicuramente velenosa. Sì, perché, una volta superata la diffidenza iniziale (non è proprio un ascolto facile) ne sarete dolcemente intossicati, sempre più desiderosi di scoprire le sottilissime trame che compongono questo indefinibile e mistico tessuto sonoro di rumori, ritmi trip-hop, cantilene dolcissime e solenni (ascoltate Lovers & Liars, con ritmi da luna park in uno straniante loop, graffi noise, e il canto da Alice nel paese delle meraviglie Dark di Jenha).
E’ un contrasto straniante quello che dà vita al suono unico di questo disco, fra la voce limpida, sensuale, onirica di Jenha Wilhelm, e il tessuto sonoro elettro-noise cupissimo, straziato, eppure mai sgradevole, come se l’orrore debba esser presentato con dolcezza e distaccata gentilezza.
Anche quando è sporcata e campionata la voce resta limpida, su un altro livello, pare non mescolarsi mai con la musica, ma le scorre accanto, la sfiora, l’accarezza. E’ un contrasto alchemico: anche il passaggio sonoro più distorto, sporco e rumoroso, diventa pura armonia angelica.
E’ dalla prima traccia che è subito messa a nudo l’anima del disco: tre forti squarci di rumore su un vischioso tappeto elettro-dub-noise, che mettono subito in chiaro il territorio sonoro piuttosto respingente per chi è abituato ad ascolti più leggeri. Entra la filastrocca dark di Jenha e sappiamo che non possiamo più scappare: è il canto della sirena, che ci porta in lande pericolose e affascinanti, dove ci sembra di riconoscere una Bjork cadaverica e malvagia, un trip-hop ancora più slow, suonato da devianti mentali, lo shoegaze che abbiamo immaginato siano soliti suonare nell’Ade. Insomma ci sembra di riconoscere riferimenti musicali, generi, ma sono tutti capovolti, come in Alice Oltre lo Specchio, sono diversi da come li ricordiamo, come in un sogno. O in un bellissimo incubo. Per avere ancora un’idea del risultato finale di questa alchimia voce-suono immaginate un film di Shinya Tzukamoto. O semplicemente uno di quegli Horror Coreani e Giapponesi, in cui la protagonista, vittima e regina del male, è sempre una ragazza tanto incantevole quanto inquietante, o più spesso una bambina, dal viso pallido e gli occhi glaciali. E immaginate i luna park deserti di notte, i carillon che suonano quando qualcosa di spaventoso sta per accadere (non a caso c’è un carillon in coda a Dedicated Secretary , e le litanie circensi fanno spesso capolino, seppur abilmente camuffate, dalle trame sonore di varie tracce, come nella già citata  Lovers & Liars, o in I Box Twenty). Eppure la voce di Jenha non è mai crudele, ma vi accompagna con dolcezza, a volte cantando una ninna nanna, su ritmi di marcetta e dissonanze, come negli otto minuti di The Man With The Shovel. O quando finalmente si apre quasi lieta nel liberatorio finale, Window Shopping, un risveglio in cui scompaiono le trame sonore angoscianti, quegli incubi rarefatti che non dimenticheremo facilmente.
Un poema saturnino da ascoltare più volte, un regno incantato da attraversare con abbandono.

Recensione pubblicata su ROCK ACTION

mercoledì 28 novembre 2007

LOVE IS SIMPLE - Akron/Family


Siete pronti a partire su questo pulmino colorato in un viaggio nel tempo e nello spazio verso l’america che abbiamo conosciuto solo nei sogni e gli anni 60 immaginati più fulgidi d’amore, quel tempo che forse è esistito solo in punta di note e parole di canzoni, siete pronti a partire per la terra del “tutto è possibile”?
Allora lasciatevi andare senza paura, buttatevi in questo variopinto trip musicale, perché a prendervi ci saranno le braccia calde e amorevoli della Famiglia Akron.
Aprite quello sportello fresco di vernice rossa e salite. Love, Love, Love (Everyone) vi accoglie con quell’incedere solenne e spensierato che si sentiva nelle ballate più romantiche e trascinanti dei Beatles. Bene, siete saliti. Un battito di mani saluta il nuovo arrivato, accendiamo il motore, parte la seconda traccia. E il clap clap si trasforma nelle acclamazioni concitate, ritmate, festose e inquiete di un’orgia tribale, un rituale, un sabba per la liberazione sessuale. Ed Is A Portal lancia strali di psichedelia, raga e cantilene corali verso l’infinito. La coda elettronica vi ricorda che siamo nel 2007, ma niente paura, nella Famiglia Akron il tempo non ha importanza, anche la melodia più beatlesiana suona nuova e potente. Come nella traccia successiva: Dont’ Be Afraid, You Are Already Dead. Don’t Be Afraid, It Is Only Love: Love Is Simple.
L’introduzione di I’ve Got Some Friend potrebbe averla scritta Frank Zappa in persona. Ma poi ti ritrovi a viaggiare nella California dei Greatful Dead, fra country e psichedelia.  Hai perso l’orientamento. Le luci si offuscano. E’ il tramonto, è una preghiera? Lake Song/New Ceremony e sei nel deserto a cavallo di un coyote. Hai mangiato qualche fungo di troppo. Ma una voce incredibilmente dolce ti rassicura, ti tiene per mano, mentre cavalchi su cori tribali femminili (scomparse le chitarre) verso il tuo spirito guida.  E via anche la melodia, siamo in piena trance: lamenti e voci scarnificate che esplodono e ti ballano nella testa possedute dagli dei del rock. La nuova cerimonia introduce al cuore pulsante del viaggio, There’s So Many Colors (è anche significativamente al centro del disco). Aprono salmodianti cori femminili, si infiltra una chitarra acida, accordi errabondi che ricordano ancora i Greatful Dead e la risoluzione in una ballata folk che dipinge immensi cieli blu, vallate e montagne. Nel crescendo musicale il viaggio sembra sempre più magico, la vita è improvvisamente piena di colori e di amore, e dopo il festoso jam finale, un contrappunto sonoro più lento e riflessivo vi prepara al brano successivo: Crikets.
Con questa delicata folk song facciamo una sosta per guardare il paesaggio, pensare alla strada che abbiamo fatto finora, scambiarci qualche tenerezza.
Phenomena inizia con una melodia canticchiata, uno di quei motivetti eterni che vi sembra di conoscere da sempre, come una favola che vi hanno raccontato da bambini. Ed è un contrappunto continuo fra giri di chitarre alla Creedence dal sapore rock più puro e il ritorno di quella dolce melodia. Un match fra i ricordi d’infanzia, il desiderio del calore famigliare e del piacere delle piccole cose, e la ribellione, il salto nell’età adulta, la volontà di correre senza freni.
Pony’s O.G.: siamo sulla riva di un fiume a meditare sulla vita, sotto la luce autunnale di questa ballata country. Improvvisamente la voce riverbera elettronicamente in toni da space rock, un corno lancia un lungo richiamo e dal nulla spunta un gruppo di vampiri metropolitani, che fra acide trombe jazz vi porta nelle sensuali e pericolose strade di una città: insegne, neon, squarci di vita notturna, sesso e droga. Ma no, non è New York, saremo in qualche città di provincia del Texas: e il coro che ci sembrava di vampiri è in realtà dei nostri cari vecchi Akron che hanno fatto un po’ tardi a suonare in un locale. Of All The Things e finiamo il viaggio in festa. Apre con fiati e cori incalzanti: sembra di stare a un funerale irlandese. Ci siamo ubriacati, abbiamo ballato, ci siamo divertiti, ma lo sappiamo: è quasi ora di tornare a casa. Le chitarre bruciano ancora indiavolate, gli Akron/Family cantano a pieni polmoni, ma le luci pian piano si spengono, il pulmino hippie si ferma. Love, Love, Love (Reprise). Torna il tema iniziale. Ci abbracciamo. Ci salutiamo, un po’ tristi, ma più ricchi. La musica riecheggia sempre più lontana e restiamo soli nell’alba slavata, felici e sbronzi, ad ascoltare i suoni di rassicurante mistero mattutino.
E abbiamo subito voglia di far ripartire il disco e di iniziare un altro viaggio.

mercoledì 21 novembre 2007

Pamelo. Le sventure della buona volontà. Capitolo 5.

Trovare una camera in appartamento a Roma era più complicato che farsi rapire dagli alieni (Pamelo ci aveva provato, ma le liste d’attesa erano lunghissime e i requisiti per l’ammissione più vaghi e misteriosi di quelli necessari per lavorare in televisione).
Certe persone erano disposte a uccidere per un monolocale di 10 mq con vista sulla tangenziale di via Prenestina. E se avessero ucciso davvero avrebbero sicuramente goduto di un alloggio più ampio e confortevole.
Per usufruire del privilegio di pagare 500 euro al mese per una cameretta grande quanto un frigorifero e condividere bagno e cucina con una mezza dozzina di persone, bisognava passare selezioni durissime.
La prima cominciava dagli annunci: doveva scartare quelli in cui accettavano solo ragazze, solo studenti, solo lavoratori, solo entrambi (Pamelo non apparteneva a nessuna di queste categorie, poiché era ancora disoccupato), solo ragazzi prestanti e coi capelli neri, solo infermiere, solo avvocati, solo agenti della CIA sotto copertura, solo membri della massoneria, solo avventisti del settimo giorno, solo cristiani ortodossi, solo ragazze pulite e ordinate, possibilmente single, solo alieni travestiti da agenti della CIA sotto copertura, solo matricole, solo liberi professionisti con reddito dimostrabile, solo donne con percentuale maschile inferiore al 10%, solo gattare de Roma, solo impiegati della pubblica amministrazione travestiti da agenti della CIA che si spacciano per alieni sotto copertura.
Trovato l’annuncio giusto, bisognava presentarsi ai colloqui di selezione, ovvero alla visita dell’appartamento. Pamelo a tal proposito trovava molto utili i consigli che di solito elargiscono su internet per presentarsi a un colloquio di lavoro. Vestirsi bene, controllare il nervosismo, fare attenzione alla comunicazione non verbale; mostrarsi sicuri di sé, ma umili; suggerire una forte volontà di ottenere il posto, ma fingere anche che non importi molto; sorridenti, ma seri; tranquilli, ma anche tesi; determinati, ma flessibili.
Pamelo si presentava alle visite con una grande agitazione e confusione (e non solo a causa dei consigli letti su internet). Lo sottoponevano ad interrogatori estenuanti e assurdi sui suoi orari, sulle preferenze alimentari e sessuali, e gli richiedevano dimostrazioni pratiche di pulizia della casa ed economia domestica. Così spesso si ritrovava a pulire e disinfettare interi appartamenti,  sotto lo sguardo vigile e arcigno dei presunti futuri coinquilini, e senza ricavarne nulla. Perché poi il posto lo davano a un amico, o a uno che si era portato dietro detersivi migliori.
Dopo tanto penare, vagabondare e ramazzare, Pamelo trovò una camera in un bilocale seminterrato, da condividere con un impiegato a progetto addetto al recupero dati per una grande azienda di prodotti farmaceutici (probabilmente il concetto di “impiegato a progetto” era il bug che ispirava a scrivere i contraddittori manuali di consigli per un colloquio di cui sopra).
Il suo coinquilino si chiamava Marcovaldo Asdrubale Rossi (suo padre doveva soffrire di un profondo senso di inferiorità per il troppo comune cognome). Era sempre sorridente, ma serio, coi capelli impomatati e il taglio preistorico, gli occhietti vispi e le guance più rosse di quelle di Heidi. Sembrava fosse nato sul set di un telefilm per famiglie negli anni ’50 in America, e fosse stato ibernato e riprogrammato per vivere nell’Italia del 2000 da un astronauta russo orbitante sulla terra che per anni aveva captato solo le trasmissioni di quiz e giochi a premi made in italy.
Pamelo aveva vissuto con gente ben più insolita, e in fondo neanche lui godeva di perfetta salute mentale. Era fiducioso che sarebbero andati d’accordo, lui e Asdrubale, che si sarebbe creato un buon rapporto da coinquilini, e che sarebbe andato tutto bene.
Tuttavia si sentiva solo, e aveva tanto bisogno di qualcosa di più di un corretto e rispettoso rapporto di condivisione di un bilocale seminterrato.
La città era immensa e distante, e si scopriva sperso, non ne vedeva i confini, non ne trovava il centro. E sembrava che i milioni di persone che l’abitavano fossero estranei come specie differenti, come un batterio di meteorite per una collaboratrice domestica, universi non comunicanti, infiniti e soli. Trascorse la prima settimana chiuso nella sua cameretta a guardare le gambe dei passanti dalla finestra. I modelli di scarpe erano meno fantasiosi d’inverno, ma questo l’avrebbe appurato solo dopo qualche mese. Aveva affrontato settimane di ricerche per un appartamento. Trovare un lavoro sembrava ancora più complicato. E gli mancavano terribilmente gli amici del paese. Persino quando aveva vissuto tra gli elfimeri non gli erano mancati tanto.

... continua la prossima settimana...

domenica 18 novembre 2007

Animal Man di Grant Morrison

Nel tentativo di ridare nuova linfa al filone supereroistico la DC Comics si affida a giovani ingegni inglesi, che, sulla scia del modernismo weird alla Alan Moore, facciano un make up intelligente ai vecchi giustizieri in costume.
Una menzione meritano gli albi di Animal Man di Grant Morrison, che ripesca un supereroe squallido e sfigato, Buddy Baker, il cui potere gli permette di assumere le capacità e le abilità degli animali che si trovano nelle vicinanze.
L'Animal Man di Morrison ha una famiglia ed è disoccupato. Cerca di entrare nella Justice League e di conoscere Superman per avere una raccomandazione. Non vuole la fama nè è mosso dal desiderio di combattere il crimine. Si trova ad avere questi poteri e cerca di ricavarci un lavoro. E, fra insicurezze personali e sani momenti di stupidità, si ritrova a combattere per la salvaguardia del pianeta, a rispondere alle richieste non della polizia, o dei governi, ma di associazioni animaliste e ambientaliste.
Insomma, fin qui niente di nuovo. In fondo ci voleva un supereroe che non si preoccupa solo del crimine e della sicurezza (anzi, nell'episodio "La Maschera Rossa" cerca anche di salvare dal suicidio un supermalvagio, perché lo reputa una brava persona), ma anche dei diritti delle cavie da laboratorio e della salvaguardia ambientale. Ciò che la rende davvero un'opera interessante è la leggerezza e l'ironia del tono, la serietà e la profondità dei temi che non sfociano mai nella retorica, l'intelligenza e la godibilità della storia.
Vera perla del volume è Il Vangelo del Coyote. Un uomo dalla vita distrutta e tormentata torna nel deserto del Nevada per uccidere un coyote antropomorfo che ritiene reponsabile non solo dei suoi, ma di tutti i mali del mondo. Ma, nonostante lo schiacci sotto le ruote del camion, gli spari, lo faccia esplodere, il coyote non muore. L'animale massacrato consegna a Buddy (che si trova a passare da lì) una pergamena. C'è la sua storia. Il disegno cambia e ci troviamo in tavole stile Looney Tunes, con gli animali tondi tondi che si danno martellate e si fanno esplodere, ma non muoiono mai. Sì, stiamo parlando proprio del famoso Coyote compagno-nemico eterno di Willy. Un giorno, stanco di questo odio insensato il Coyote si eleva a Dio. Questi lo catapulta nel nostro universo, consentendogli di salvare e redimere il mondo attraverso la propria sofferenza. Ma Animal Man non riesce a tradurre il suo vangelo e un proiettile d'argento sparato dall'uomo che lo crede un demone infine uccide il coyote redentore.
Probabilmente il mio sunto non rende giustizia alla genialità, alla poesia e alla freschezza di questo episodio. Probabilmente questa è una delle cose più affascinanti che abbia letto ultimamente e credo sempre più che gran parte della letteratura ufficiale e spesso anche del fumetto cosiddetto "d'autore" sia vuota e ingessata. Ed è molto più probabile che perle di vera poesia si trovino nella cultura pop, magari di serie B o in un filone di scarsa stima come quello supereroistico, che in in opere incensate dalla critica letteraria ufficiale.
Già, ho scoperto l'acqua calda... ma ho passato anni a credere il contrario, e a privarmi delle vere prelibatezze, ed ora ho bisogno di ripetermelo. In fondo non è così strano che la cultura ufficiale sia ingessata con tutti quei riflettori addosso. E' naturale che le cose più geniali e innovative si sviluppino dove c'è vera libertà per l'arte... paradossalmente nella cultura pop e commerciale. E questa lezione dovrebbe impararla soprattutto l'ingessatissimo cinema italiano (se non proprio tutta la cultura italiana)... ma questa è un'altra storia. Insomma, volevo solo consigliare questo fumetto.
That's all...

giovedì 15 novembre 2007

Il terrifico odore.

Stavo lavando i piatti in cucina, quando sento un terribile, nauseante odore provenire dal buco di scolo.
Detergo il lavello con del sapone sciogli-calcare, e ne getto una dose abbondante anche nello scolo. Ma l’odore non accenna a scemare. Naturale. Manco da una settimana e quell’incapace di mio marito mi ha fatto trovare una montagna di piatti e pentole da lavare, più un mare di briciole sotto il tavolo e cicche di sigaretta dappertutto.
Lui, però, non s’è fatto trovare.
E’ naturale che lo scolo sia invaso da residui di cibo, cenere e altri maleodoranti liquidi e gelatine.
Oh, è davvero inconcepibile che quell’insetto di mio marito non sappia stare in casa da solo. E per giunta mi ha lasciato un esercito di buste dell’immondizia tutte in fila per il corridoio.
Per consolarmi, dopo una mattinata di rottura di schiena per riassettare la casa, mi sono preparata una bella bistecca al sangue con contorno di patate fritte. Ma dopo un paio di morsi ho smesso, perché quell’odore schifoso che continua a venir su dallo scolo mi ha tolto l’appetito. Se non fosse domenica chiamerei l’idraulico.
Verso circa mezza bottiglia di sapone anti-batterico nel terrifico buco, chiudo la porta della cucina e mi trasferisco a mangiare in salotto. Ma dopo cinque minuti la puzza mi raggiunge inesorabile e desisto definitivamente dall’idea di ingurgitare altro cibo.
Ho spruzzato del deodorante limone e vaniglia per tutta la casa, soprattutto in cucina, e mi sono chiusa a chiave nella stanza più lontana, la camera da letto.
Stranamente il letto era rifatto, segno, o che mio marito non ci aveva dormito per niente, e, in questo caso, dove diamine aveva passato la notte?, o che gliel’aveva risistemato qualcun altro. O altra. (Giacché c’era, perché non aveva lavato anche i piatti quella stronza?)
Mi distendo sul letto e abbasso le tapparelle.
Fu in quella deliziosa e ipnotica penombra che mi venne a scovare, inarrestabile, l’Odore.
No, così non si può continuare. Ma che cazzo ha fatto quel mollusco, ci ha pisciato nel lavello?
Se resto qui stanotte l’odore mi ucciderà. Vado a dormire da un’amica.
“Hai visto mio marito, cara?”
“No. Proprio non l’ho visto in questi giorni. Perché, cosa è successo?”
“Oh, nulla di grave. Solo che il porco ha disertato il porcile”
“Ti faccio un tè caldo, vedrai che tornerà”
“Spero che non torni, se no gli cavo gli occhi e li faccio sciogliere col Mister Muscolo!”
Il giorno dopo ho chiamato l’idraulico e sono tornata a casa. Mentre aspettavo riflettevo sull’assoluta inusualità di quell’odore. Era inquietante, come di putrefazione. Che non si sia incastrato qualche grosso insetto nello scolo?
E mio marito poi? Dove sarà finito quel verme? Neanche un biglietto, un avviso. Niente.
Ah, finalmente! E’ arrivato l’idraulico. Io mi ci sarò abituata, ma la puzza deve aver raggiunto vette incredibili, dato che il pover’uomo, appena entrato, ha fatto un balzo all’indietro.
“Viene dallo scarico del lavandino” gli ho detto.
Ci ha lavorato quasi un’ora, per tirar fuori tutto dallo scarico e pulirlo e disinfettarlo per bene. Ha messo lo sporco in una ciotola.
“Vede, signora” mi ha detto “E’ da qui che veniva la puzza. Vede, s’era incastrato fra i residui di cibo e si stava decomponendo”.
Sì, infatti, fra mollica bagnata, foglie di lattuga, grani di prezzemolo raggrumato a uova e frammenti di salsiccia, c’era un pezzo di carne gelatinosa, rosata, non cotta, chiaramente in putrefazione.
L’idraulico ha gettato il contenuto della ciotola nella pattumiera ed è andato via.
Ah, che bello, via tutti, anche la puzza!
Mentre stavo per addormentarmi, però, ho ripensato a quel pezzo di carne molle e rosa, dall’aspetto familiare. Che strana forma aveva! Sembrava proprio un corpo umano.
  FINE



Questo lunedì ho saltato il capitolo di Pamelo. Ed è un pò che non scrivo più recensioni... conto di tornare a scrivere dalla settimana prossima con più regolarità. Intanto spero che questo raccontino horror vi sia piaciuto.
E ricordatevi di lavare i piatti e di non lasciare residui di cibo nel lavello!!!

martedì 6 novembre 2007

Pamelo.Le sventure della buona volontà. Capitolo 4

Pamelo era ben felice di lasciare la complicata società elfimera e tornare al mondo umano, anche se provava già una incomprensibile nostalgia per le chiacchierate differite con i suoi compagni di lavoro, e in particolare con la sua amica Baccasfondata. La cosa strana era che ricordava con affetto anche i momenti peggiori, come il buio e il silenzio dei cunicoli, la ginnastica che li costringevano a fare tutte le mattine a piedi scalzi sul terreno brinato, la diarrea che gli veniva sempre dopo i pasti a base di more e mirtilli. Ne dedusse che la mente umana era programmata in maniera difettosa rispetto a quella elfimera. Mentre quelli provano per un evento passato l’esatta emozione che questo dovrebbe suscitare (e che al momento avevano rimandato), gli umani finiscono per inzuccherare anche i ricordi peggiori, così solitamente si affezionano e si adattano a tutte le condizioni (alcuni la chiamano flessibilità), anche se hanno avuto una vita di merda. Oppure, se le cose girano davvero male, a guardare come passi falsi o insignificanti momenti illusori anche i periodi più felici che hanno avuto in passato. 
Mentre si perdeva in speculazioni comparative sulle due culture, Puffinbocca gli arrivò alle spalle di soppiatto. Era vestito con una felpa rossa unta su un paio di mutande bianche con una scritta sul bordo. Sotto ancora portava dei pantaloni larghi in tessuto sintetico brevetto cinese.
BUH! Gli fece, piombandogli addosso e mandandolo a ruzzolare giù per il fosso dove si erano incontrati la prima volta (e che nel frattempo era diventato una vera discarica a cielo aperto).
Pamelo si arrampicò fra i rifiuti con la ferma intenzione di strangolare l’elfimero, ma, una volta su, era troppo affannato e stravolto, e la pausa che fece per prender fiato permise al simpaticone di prendere le distanze
“Se mi fai del male resterai un elfimero per sempre” strillò.
“Non… puff…importa… sarò un elfimero felice”
“Non c’è ragione di alterarsi. E’ stato un scambio equo e consensuale”
Pamelo si calmò, anche se non era affatto d’accordo sull’equità dello scambio: ma restare un nanetto peloso per tutta la vita era l’ultimo dei suoi desideri.
“Allora” chiese Puffinbocca. “Raccontami un po’: ti è piaciuto vivere nel bosco? Che hai fatto di bello?”
“Mah, mi sono spezzato la schiena a scavare cunicoli e raccogliere cacche di cinghiale in estate, ho raccolto tonnellate di foglie in autunno e spalato la neve in inverno. E tutto il tempo senza avere una conversazione decente, con gente che rideva alle mie battute dopo due mesi e mi serviva vendette a freddo. Ho scontato cinque anni di lavori forzati al posto tuo, ma questo già lo sapevi. Ora devo trovarmi un lavoro e tutto quello che conosco è il vostro assurdo e inutile sistema di comunicazione differito”
“Fidati, in genere quello che studiate nelle vostre università non è più utile ad affrontare il lavoro e la vita da adulti di quanto lo sia il nostro sistema conversazionale” rispose l’elfimero con aria saputa.
“Anch’io non ho avuto un attimo libero” continuò “Inserirsi nella vostra vita sociale è altrettanto difficile. La mattina mi alzavo a mezzogiorno per andare al corso. Mangiavo un paio di brioches prese dalla macchina a gettoni e chiacchieravo con altri umani e umane sul prato del campus. Tornavo a casa e mi guardavo un po’ di tv, sfondandomi di canne con i coinquilini. Poi dovevo essere abbastanza lucido per alzarmi e uscire con la mia ragazza. Ci riempivamo di alcol, andavamo a ballare, facevamo un po’ di sesso. Verso le tre tornavo a casa sfinito e sfidavo il mio compagno di stanza alla play-station  fino all’alba.” L’elfimerò si fermò, scuotendo la testa a rimarcare quanto fosse stata stressante la sua esperienza di vita universitaria. Poi, notando che Pamelo diventava paonazzo di rabbia, si affrettò ad aggiungere: “Certi giochi sono davvero complicati, ma non ti ho fatto sfigurare, non temere. Reggi l’alcol che è una meraviglia, credimi, sei una leggenda”
“Ma hai studiato? Hai dato gli esami? Sono laureato, insomma?” si limitò a chiedere Pamelo, sorprendendosi che la propria reazione non fosse stata una furia omicida: forse la cultura elfimera l’aveva influenzato più di quanto immaginasse.
“Ma certo! Non ho mica bisogno di studiare io. Con un tocco di magia sei laureato con lode” disse Puffinbocca
“E… in cosa?”
“Lettere e filosofia”
“Oh no! Sono rovinato!” si disperò il giovane, strappandosi i capelli da elfimero.
Puffinbocca si affrettò ad effettuare la trasformazione, temendo che l’umano gli rovinasse la preziosa pettinatura a forma di cappello e, recuperata la forma originaria, sgattaiolò via in silenzio.
Pamelo si ritrovò solo nel bosco, vestito come un deficiente, col fegato di un cinquantenne e una laurea in lettere.
Ma fra gli elfimeri era cresciuto, aveva imparato a lavorare sodo e a controllare le emozioni. Nonostante tutto, ce l’avrebbe fatta. Così, pieno di fiducia e buona volontà, si recò al paese a salutare suo padre (l’elfimero aveva omesso che questi l’aveva cacciato di casa), per cominciare finalmente la sua vita da adulto nella capitale.

mercoledì 31 ottobre 2007

Pamelo. Le sventure della buona volontà. Capitolo 3.

L’aspetto peggiore dei lavori forzati non era tanto di dover passare gli anni migliori della sua vita a spalare cacche di cinghiale e scavare cunicoli nel bosco, ma l’assoluta stupidità e mancanza di ironia degli elfimeri. Se faceva una battuta, restavano seri o se ne uscivano con banali considerazioni sul tempo e la caduta delle foglie in autunno; se invece raccontava una storia triste ridevano o facevano apprezzamenti sulla dolcezza delle bacche. Ogni volta che chiedeva perché l’avessero condannato rispondevano con frasi nonsense e proverbi.
Pamelo impiegò due anni a capire che gli elfimeri non erano né pazzi né ritardati, ma avevano un complicatissimo sistema di comunicazione differito. A rendere le cose ancora più difficili c’erano le diverse scuole di tecnica conversazionale. La più immediata era quella proposizionale-tri-differita semplice, detta anche “trallallero trallalà”.
Per fortuna Baccasfondata, la compagna di catena di Pamelo, apparteneva a questa scuola. Ecco un esempio delle loro conversazioni.
Pamelo: Che caldo oggi!
Baccasfondata (Bacca per gli amici): Trallallero
Pamelo: Non riuscivo proprio ad alzarmi stamattina
Bacca: Trallalà
Pamelo: Scusa, ma che stai cantando?
Bacca: Arriva l’estate.
Pamelo: Mai sentita ‘sta canzone… sai che ci danno per il rancio oggi?
Bacca: Anch’io
Pamelo: Sé, ma come fai a cantarla se non l’hai mai sentita? Senti, ma a te per cosa ti hanno condannato?
Bacca: Niente
Pamelo: Anch’io sono innocente: mi hanno incastrato. Non è che, per caso, sai di cosa sono accusato?
Bacca: Pasta e fagioli.
Pamelo: Cosa?! Cinque anni di lavori forzati per una pasta e fagioli?
Bacca: Non sono fatti tuoi!
Pamelo: Certo che sono fatti miei, in questo momento dovrei essere all’università, farmi una cultura, andare ai concerti, uscire con gli amici, invece sono qui a spezzarmi la schiena per una pasta e fagioli (Pamelo scoppia in sconsolati singhiozzi) Sobb! Sniff… hai un fazzoletto, per favore?
Bacca: Non lo so. Chiedilo al caposquadra.
Naturalmente Baccasfondata stava rispondendo alla domanda che Pamelo le aveva fatto tre turni prima, ma il giovane non aveva ancora capito il sistema “trallallero trallalà”, per cui smise di scavare e, asciugandosi le lacrime col dorso della camicia, chiese un fazzoletto al caposquadra.
Questi prima gli scoppiò a ridire in faccia e poi gli diede una bastonata sulla testa. Ciuffolotto, nonostante quel che si può arguire da questa reazione, non era un feroce secondino, ma un adepto alla scuola conversazionale dei Replicanti del Settimo Giorno, e stava semplicemente rispondendo a un fatto accaduto la settimana precedente.
Non c’è da sorprendersi che Pamelo si sentisse solo e incompreso e faticasse ad inserirsi nella società elfimera: c’erano più di 50 scuole conversazionali ed anche se avesse imparato le regole delle più semplici, ci sarebbero volute ore di equivoci e nonsense prima di capire a quale scuola appartenesse l’interlocutore.
Con quelli che si limitavano a differire qualche turno, come i Trallallero, bastava avere un po’ di pazienza. Ma con altri la risposta poteva arrivare dopo giorni o settimane, quando ormai Pamelo non ricordava neanche la domanda o l’informazione non gli serviva più.
Senza contare che poteva essere molto snervante l’attesa della reazione di un elfimero di cui aveva urtato la sensibilità. Magari al momento gli sorrideva o cantava una canzoncina e il giorno dopo, quando Pamelo se ne stava pacifico a spiluccare la sua minestra di frutti di bosco, l’elfimero offeso gli spediva una palla di fango nel piatto.
Dopo due anni di tentativi Pamelo venne finalmente a sapere il motivo per cui il suo usurpatore Puffinbocca era stato condannato.
Si trattava di “pigrizia generalizzata ed eresia conversazionale”. In pratica Puffinbocca se l’era spassata tutto il tempo. Si rifiutava di lavorare e di rendersi utile in qualunque modo e, avendo tanto tempo a disposizione, aveva inventato un’altra scuola conversazionale, per l’esattezza una variante della Turnazione Incrociata Multipla di Sette al Quadrato. Secondo la legge elfimera i cinque anni di lavori forzati non erano altro che la replica differita agli anni in cui il reo se n’era stato a poltrire. In genere la società elfimera era molto aperta alle nuove forme di comunicazione, ma prima che una nuova scuola venisse approvata e resa ufficiale, doveva essere seguita clandestinamente per circa cinque anni, tanto per introdurre un po’ di divertimento sovversivo. E l’inventore, dopo aver scontato la pena, diventava una celebrità.
Se Pamelo non avesse avuto fino a quel momento abbastanza motivi per odiare Puffinbocca, questa sarebbe stata la classica goccia… Ma il giovane, dopo aver progettato per mesi sanguinarie vendette, perse ogni interesse nel modo in cui avrebbe ucciso l’elfimero, finché decise che si sarebbe limitato ad ascoltare civilmente le sue ragioni, prima di agire.
Poteva aver imparato i vari metodi di comunicazione differita, ma restò sempre estraneo alla psicologia elfimera e alla capacità di programmare e rimandare le emozioni.
Perciò, quando giunse il sospirato giorno della liberazione e dell’incontro con l’usurpatore, Pamelo era d’animo molto più tranquillo e ragionevole di quanto avrebbe desiderato essere…

martedì 30 ottobre 2007

Lavori in corso

Il cronopio è in pausa e sta eseguendo un complicato defrag mentale.
L'autodisciplina mi permette di lavorare, ma continuo a disobbedimi per il piacere di infrangere le regole che mi sono imposta in continue azioni di auto-sabotaggio.
In questi ultimi giorni ho scoperto che:
- Le rubriche fisse non funzionano: il giorno del cinema mi viene voglia di scrivere di musica, e viceversa; il giorno dedicato alla letteratura sento l'impellente necessità di suggerire un sito... insomma, i negoziati vanno avanti, ma, finché non raggiungo un accordo col sabotatore, devo annullare le rubriche fisse. Lascerò solo Pamelo il lunedì, perché è una storia a puntate, e, anche se a seguirla saranno in due (compresa me), è giusto che ci sia una periodicità. Lunedì comunque non c'avevo voglia di scrivere, e neanche oggi... solo per questa settimana slitta a mercoledì :)
- Sto divorando le tre stagioni di Battlestar Galactica, anche se il militarismo che vi si respira mi fa venire l'orticaria. I personaggi mi stanno quasi tutti antipatici e spero che i Cyloni distruggano l'umanità.
- Sono di nuovo sotto attacco mistico. Sogno spesso di volare. A proposito delle interpretazioni dei sogni... tutte quelle stronzate che si leggono per cui chi sogna di volare vorrebbe "fuggire dalla realtà" o "essere superiore" vale a dire "essere supeman", "avere delle ambizioni" e via col liscio delle metafore sempliciotte.... se sogniamo semplicemente di camminare non c'è tanto da discutere.
Le sensazioni dei sogni non nascono dal nulla, sono ricordi di sensazioni che abbiamo realmente esperito nella veglia. Ma la sensazione del volo, così reale, così unica, l'ho provata solo nel sogno, ed è sempre la stessa. Quindi quale esperienza fisica ricordo? Quando il mio corpo ha imparato a volare? Forse nel sogno la mente attinge ad un inconscio fisico collettivo, dove dormono anche gli istinti della specie. Forse questo inconscio, siccome il tempo è circolare, non attinge solo al passato, ma anche al futuro... un crogiolo che dorme nel profondo del nostro dna, dove si mischia tutto quello che la specie umana è stata e sarà... per lo stesso motivo, forse, a volte si possono fare sogni profetici. E dai sogni dei gatti potremmo conoscere il futuro della specie felina, e da quelli degli scarafaggi scoprire se davvero un giorno domineranno il mondo...

venerdì 26 ottobre 2007

...A TOYS ORCHESTRA - Technicolor Dream

Non la conoscevo questa giovane band campana quando un paio di settimane fa sono andata al concerto di promozione del nuovo album. I Toys li avevo intravisti solo sulla chart dei miei vicini musicali su lastfm, ma non vi avevo prestato attenzione. E’ vero che i miei vicini hanno degli ottimi gusti (d’altronde sono “vicini” proprio perché i loro ascolti sono molto simili ai miei), però a volte mettono su della roba raccapricciante e, siccome per ora non ho prove certe che vivrò in eterno e che in paradiso si rockeggi, non posso ascoltare tutti i dischi che escono. Poi, visto che era un sabato e non avevo nient’altro da fare, sono andata al Circolo a vederli, senza molte aspettative.
Sul palco sono timidi, quasi gelidi, suonano un po’ sulle loro, senza interagire col pubblico, a là Arctic Monkeys. Ma la musica è potente, si percepisce dalla prima canzone che possono competere con le migliori indie band in uno scenario internazionale.
Ricordo che durante il concerto ho pensato: ah, ecco, si chiamano A Toys Orchestra perché gli piace giocare con la musica, rimodulare i riferimenti ad altre band con freschezza e originalità, come fanno i bambini (anche se il risultato è tutt’altro che naif), e perché nelle canzoni si respira un’aria da vecchi giocattoli fatti a mano, buffi e inquietanti. Se questa descrizione vi ricorda i giochi delicati, ma stucchevoli delle sorelle Cocorosie, devo precisare che gli A Toys Orchestra ne sono molto lontani: il loro è rock puro e incisivo, che non stanca, ma cresce con gli ascolti.
Se nel precedente disco Cuckoo Bohoo erano fin troppo ancorati al modello noise rock dei Blonde Redhead, in Technicolor Dream trovano una strada sonora originale, seppure ricca di riferimenti che vanno dai Beatles di Stg. Peppers ai Pink Floyd, dal Nick Cave delle Murder Ballads fino ai più recenti Coldplay.
C’è malinconia e passione in questo disco, canzoni di chitarre e retrogusto folk, canzoni che si aprono con carillon di pianoforte ed esplodono in ballate melodiche di raro impatto, toni epici e pop più leggero, raffinati inserti elettronici e cori indie, linee melodiche bellissime incupite da sonorità noise. Ogni canzone é ricca di cambi ritmici, pastiche stilistici raffinati che impreziosiscono l’impasto sonoro, senza fargli perdere la freschezza e la capacità di emozionare. Tredici tracce che si susseguono compatte e senza cadute di tono, che avvincono come i capitoli di un romanzo (mmm… se fosse un libro? La bottega dei giocattoli di Angela Carter).
Uno dei migliori album del 2007 nello scenario internazionale. Il migliore sicuramente in quello italiano.
Tracklist:
  1. Invisible
  2. Cornice dance
  3. Mrs. Macabrette
  4. Letter to myself
  5. Ease off the bit
  6. Powder on the words
  7. Amnesy international
  8. Santa Barbara
  9. Bug embrace
  10. Danish cookie blue box
  11. Technicolor dream
  12. B4 I walk away
  13. Panic attack #3
Qui potete ascoltare la bellissima Cornice Dance e vedere Power of the Words e Peter Pan Syndrome

mercoledì 24 ottobre 2007

Viaggiare gratis

Chi l'ha detto che ci vogliono i soldi per viaggiare? Perché prenotare un'anonima camera d'albergo quando ci sono tante persone simpatiche ed interessanti in tutto il mondo disposte ad ospitarti?
Per chi crede nell'ospitalità e nel viaggio come esperienza di vita consiglio due grandi community:
www.couchsurfing.com
www.hospitalityclub.org
Non si tratta solo di viaggiare gratis o con pochi soldi, ma di viaggiare in modo più consapevole e ricco, di abbattere la gabbia di paura e sfiducia nell'altro che paralizza la nostra società, di riscoprire un valore antico come l'ospitalità.
Quando mi sono iscitta al couchsurfing, dopo un primo momento di entusiasmo, ho avuto anch'io le mie perplessità. Un ragazzo brasiliano sarebbe stato il mio primo ospite. Ci eravamo sentiti un pò per email e sembrava a posto... però non aveva nessun feedback perché si era anche lui iscritto da poco.
Stavo anche preparando la tesi, così gli scrissi che non avrei avuto molto tempo per fargli da "guida turistica". Non c'è problema, risponde, voglio solo un posto dove stare.
Ehm... ma sai, faccio io, vivo in un monolocale e non avrai una stanza tutta tua.
Gli andava bene anche un posto sul pavimento.
Bene, le avevo provate tutte... e poi dovevo pur cominciare ad ospirare qualcuno, non potevo tirarmi indietro, se no dove andavano a finire tutti i miei discorsi sulla fiducia, sulla necessità di vincere l'oscurantismo mediatico e la paura reciproca?
Devo confessare che, prima di andarlo a prendere all'aereoporto, avevo nascosto la mia fotocamera, il lettore mp3 e altri piccoli beni in mezzo ai vestiti... ma, dopo averlo conosciuto, mi sono sentita piuttosto ridicola (a parte che lui aveva un lettore mp3 molto più figo del mio...)
Abbiamo passato una settimana stupenda. Ho persino visitato i Musei Vaticani (6 anni che vivo a Roma e non ci ero mai stata), e altri posti di cui neanche sospettavo l'esistenza. Diogo (così si chiama il brasilero) mi ha aiutato con un capitolo della tesi e mi ha permesso di esercitarmi un pò con l'inglese. Abbiamo discusso di musica, di politica, insomma... abbiamo avuto interessanti scambi di idee su vari argomenti e ci siamo divertiti parecchio. L'ultimo giorno ha cucinato un dolce brasiliano al cioccolato che caldo era delizioso, ma freddo poteva essere un ottimo sostituto del superattack. Il tutto innaffiato da una caraffa di capirina ad alta gradazione alcolica... sono passati quasi due anni, ma di tanto in tanto ci sentiamo ancora su msn.
Ho ospitato anche una giovane cantante lirica californiana e un fotografo giramondo della Nuova Zelanda.
E le persone che hanno ospitato me e il mio compagno in Bretagna hanno sicuramente reso il nostro viaggio molto più ricco e interessante. Di quella fiabesca regione dalle immense spiagge oceaniche non ricordo solo i luoghi, ma anche i volti, la gentilezza e le storie dei nostri ospiti. L'insegnante di storia di Quimper, amante del melodramma italiano, che ha girato germania e italia in bicicletta. La timida Marine di Landernau, che vive in una tipica cesetta bretone in pietra e lavora come biologa nell'industria alimentare. La giovane coppia di Saint Malo e la loro pazza cagnolina Mia... con loro abbiamo parlato di lavoro e di precarietà (e sì, anche in Francia hanno i loro problemi), abbiamo ascoltato dell'ottima musica elettronica francese e girovagato un pò nei dintorni di Saint Malo. Qualche settimana fa ci hanno spedito una mail: aspettano un bambino!
Eh, non le vivi mica queste cose se viaggi solo per camere d'albergo o, ancora peggio, con i pacchetti turistici.

lunedì 22 ottobre 2007

Pamelo. Le sventure della buona volontà. Capitolo 2

Era una mattina d’inizio autunno, una mattina uguale a tutte le altre nel ridente paese di Tataranni Costruzioni (ma leggermente diversa dalle mattine di fine estate e nettamente migliore di quelle del pieno inverno, forse più simile a certi pomeriggi di mezza primavera, con un po’ di brezza in più rispetto alle afose notti estive).
Il gallo di zia Elvira cantava nel pollaio, Beppo il giornalaio sistemava le riviste sugli scaffali, Zelda la matta si faceva la toeletta, il bovaro si preparava a far nascere un agnellino, compare Antonio alzava la saracinesca della sua cartoleria-tabaccheria (facciamo che gli altri 195 abitanti stavano ancora dormendo) e Pamelo fissava alternativamente la valigia pronta di fronte alla porta e il latte che si stava freddando nella tazza. Per lui non era una mattina come le altre perché alle cinque del pomeriggio il trenino della calabro-lucana l’avrebbe portato ad Eboli, e da lì un treno nazionale l’avrebbe finalmente condotto alla sua nuova vita nella capitale. Aveva atteso con ansia quel giorno, ma ora che era giunto provava una inesplicabile malinconia e cominciava a vedere per la prima volta la bellezza della sua terra natia.
Pamelo decise di dire addio alle strade del suo paese, ai boschi e ai calanchi con una passeggiata. Passò davanti al cortile della scuola e al campo di calcetto parrocchiale e si concesse una dolce pausa commemorativa nella piazzetta dove aveva architettato vite irrealizzabili con i suoi amici e baciato una ragazza per la prima volta. Si incamminò infine per un sentiero nel bosco, godendo del crepitio delle foglie secche sotto i suoi passi, e dell’odore umido e dolciastro dei funghi nati dalle prime piogge autunnali, mischiato a quello acre del fumo degli ultimi incendi dolosi estivi. Respirò a pieni polmoni, sentendo di avere il viso bagnato dalle lacrime, forse per il fumo, forse per la nostalgia, e sedette a guardare il paesaggio. A nord, i dorsi arcigni delle montagne serravano la stretta valle e il torrentello strozzato che l’attraversava, mentre verso ovest si distendevano le colline con i campi di grano e i boschetti di ulivi e alberi da frutta. Nel fondo del fosso ai suoi piedi, cinti da cespugli di more e ortiche stavano due sacchi plastica nera maleodoranti, quattro scatoloni di vecchie piastrelle da cucina, un frigorifero e una lavatrice, e su un tavolo operatorio giacevano un ombrello e una macchina da cucire, in una felice congiunzione artistica fra concretismo e surrealismo. Ah, pensò Pamelo, quanto mi mancherà tutto questo! Quanto mi piacerebbe restare a vivere qui, nei boschi, in mezzo a questa meravigliosa natura!
Espresse quest’ultimo desiderio ad alta voce, pensando di essere solo. Lo sportello del frigorifero in fondo al fosso si aprì di scatto e ne uscì un ometto con le orecchie a punta, vestito di verde e con un gran ciuffo di capelli corvini a forma di cappello. Sembrava proprio un elfimero.
Pamelo sobbalzò e disse: “Oddio! Tu sembri proprio un elfimero!”
“Lo sono, giovine!” replicò l’ometto saltellando su per il fosso “E ho udito il tuo desiderio. Puffinbocca al tuo servizio!”.
Pamelo provò una istintiva fiducia verso quella creatura che aveva un nome più buffo del suo e gli aprì il suo cuore. Gli raccontò di quanto aveva desiderato vivere delle avventure e di quanto odiasse la scuola, e che non aveva nessun desiderio di passare altri cinque anni sui libri in una uggiosa città. Gli sarebbe piaciuto fare il pirata, l’elfo (questo lo disse più che altro per ingraziarselo) o al massimo il contadino, ma suo padre voleva che diventasse un medico o un avvocato, o almeno un ingegnere informatico.
L’elfimero a sua volta gli confidò di quanto trovasse noiosa la vita nei boschi, con quelle interminabili assemblee degli animali in cui non si riusciva mai a decidere nulla e la complicatissima etichetta che si era costretti ad osservare alle cerimonie delle fate.
“Ehi! Ho un’idea!” disse infine Puffinbocca, fingendo che l’illuminazione gli fosse venuta proprio in quel momento “Facciamo uno scambio. Io prenderò le tue sembianze e farò l’università in quella uggiosa e trafficata città… come hai detto che si chiama? Roma? Frequenterò i corsi, darò gli esami e sgobberò al tuo posto. Tu prenderai le mie e vivrai le tue avventure nei boschi, fra feste fatate e bevute di rugiada. Fra cinque anni ci incontreremo in questo stesso posto e torneremo al nostro aspetto originario. Cosa ne dici? Affare fatto?”
“Figo!” esclamò Pamelo “Ci sto. Ci sto di brutto! Facciamolo subito!”
L’elfimerò sogghignò e, prima che una foglia appena morta si ricongiungesse alle sorelle sul terreno, prese l’aspetto del giovane Pamelo, che a sua volta si trasformò in un ometto col ciuffo a forma di cappello.
Intanto dal sentiero veniva un rumore di passi leggeri e di zoccoli di cinghiale.
“Addio, giovine! Divertiti e non bere troppa rugiada, mi raccomando!” disse Puffinbocca allontanandosi velocemente.
“Aspetta! Dove vai? Non so neanche dove abiti qui nel bosco”
“Non ti preoccupare, rilassati, eh? Fammi andare che perdo il treno.”
Lo scalpiccio era sempre più forte e vicino.
“Ma… è appena mezzogiorno” protestò Pamelo, vedendo che il sole era ancora a allo zenit e rendendosi conto che l’elfimero gli aveva fregato anche l’orologio. “Il treno ce l’hai alle cinque”
“Appunto, è ora di pranzo e tuo padre si preoccuperà se non mi vede arrivare. Ci si vede. Adios”.
Pamelo vide scomparire se stesso in fondo al sentiero e sospirò, pensando alla rapidità con cui aveva affidato il suo corpo e il suo futuro ad uno sconosciuto. Ok, ma chi se ne frega del futuro! Aveva davanti a sé cinque anni di pacchia: feste, giochi, ozio, fate avvenenti! E quel ciuffo a forma di cappello gli stava da dio.
“Su le mani, Puffinbocca, sei in arresto” disse una voce stridula alle sue spalle.
Pamelo fece per voltarsi ma un’altra voce gli intimò di fermarsi.
“Ladro e traditore, cercavi di scappare, eh?”
Con la coda dell’occhio il ragazzo vide un gruppo di elfimeri a dorso di cinghiale, armati di picche e bastoni. Una fata poliziotto che portava quadri e cuori, dopo averlo atterrato con una mossa di karate, gli mise le manette.
“Ehi, aspettate, io non sono quello che credete… sono una ragazzo, vengo dal paese e mi chiamo Pamelo. Stavo per andare all’università, ma un elfimero mi ha proposto uno scambio e io ho accettato… ahia! Mi fai male! Lasciatemi andare, ho il treno alle cinque!”
“Sì, sì, lo racconterai al giudice” disse la fata. Lo strattonò e aggiunge malignamente “Con questa bravata ti sei beccato un altro anno di lavori forzati”
“Un anno! Un anno intero… ma io non posso… quanti anni erano?”
“Cinque anni” disse l’elfimero con la voce stridula. “Hai cinque anni di lavori forzati da scontare”.

Le nuove frontiere della selezione delle risorse umane

Oggi ho toccato il fondo nella mia ricerca di un lavoro. Sono settimane ormai che mando quotidianamente curriculum, non solo di autocandidatura ma anche in riferimento ad annunci, e non ricevo risposta. Scartate tutte le ipotesi razionali, cominciavo a vagliare interferenze sovrannaturali, complotti cosmici che facevano volatilizzare le mie e-mail, curriculum che scomparivano per autocombustione appena li infilavo nella buca delle lettere... Ma oggi, finalmente, ricevo una risposta.
I primi tempi, dicono, lavorerà gratis (mi chiedo per quanti anni dovrò ancora lavorare gratis o sotto il minimo sindacale? Va bene, però farò quello che mi piace e se trovo qualcos'altro, nel frattempo...)
Ok, mi fissano un colloquio?
No, deve prima mandare un curriculum e la scheda dei suoi lavori.
Ma l'ho gia mandato!
Devo spedirlo di nuovo, perché (cito testualmente) "Per partecipare alla selezione è richiesto un contributo per spese di segreteria di euro 80,00 (necessarie per coprire i costi derivanti dal gran lavoro che occorre fare per la lettura e selezione delle proposte)".
Poverini, devono fare una gran lavoro... è giusto che si prendano 80 euro per dieci minuti di lettura di una scheda e del curricum di una persona che, se selezionata, lavorerà senza retribuzione per alcuni mesi...
Questa mi mancava: pagare 80 euro perché mi leggano il curriculum... (è superfluo aggiungere che non parteciperò)
Oggi dovrei scrivere la seconda puntata delle disavventure di Pamelo. Credevo che quelle che avevo immaginato per lui fossero storie un pò surreali e ai limiti dell'assurdo, ma quello che mi è capitato oggi supera la mia immaginazione. Diamine, io in fondo volevo sentirmi superiore a Pamelo, non competere seriamente con lui!
Ora mangio qualcosa e cerco di riprendermi dallo shock. Tornerò più tardi con la seconda puntata di Pamelo.

sabato 20 ottobre 2007

Stardust di Matthew Vaughn.


Un muro separa il villaggio inglese di Wall dal regno fantastico di Stormhold. Non è molto alto e c’è anche una breccia piuttosto facile da attraversare, se si riesce ad eludere l’ottuagenario guardiano esperto di arti marziali. Tristan, un giovane garzone sognatore, per conquistare l’amata Victoria, promette di avventurarsi aldilà del muro e di portargli in dono una stella caduta.
Inizia così uno dei migliori film fantasy degli ultimi anni, che riprende la tradizione della fiaba cinematografica rocambolesca e ironica che fu dei classici della nostra infanzia: Legend, Lady Hawke e su tutti, La Storia Fantastica. Il tutto riverniciato con moderni effetti speciali e tanta computer grafica.
Il giudizio, tutto sommato positivo, si rimodula se si pensa che la buona qualità del film devo molto all’eccellente materiale da cui è tratto. Infatti, l’ironia del tono, l’arguta caratterizzazione dei personaggi, l’intelligenza della storia e tutto quel che differenzia questo film da tanta altra paccottiglia fantasy televisiva e cinematografica, che tutto fa tranne che stimolare la fantasia, era già nel libro omonimo di Neil Gaiman.
Se il film riesce ad esprimere le stesse qualità, può considerarsi dello stesso valore? Sì, se ci fermiamo all’ottima fattura dello script e della sceneggiatura. No, se guardiamo al linguaggio filmico, ovvero alla sintassi e allo stile del film.
Neil Gaiman nel suo Stardust riprende gli archetipi, i temi, i personaggi delle fiabe (le tre streghe che mangiano i cuori di innocenti fanciulle per ringiovanire, le lotte fra i pretendenti al trono, le tre prove da superare, gli aiutanti magici ecc.) per creare una fiaba classica in un linguaggio moderno e personalissimo. La forza del linguaggio di Gaiman sta nelle similitudini inattese e mai banali, nell’effetto ironico delle metafore e giochi retorici, nell’accostamento di archetipi e figure classiche a oggetti, miti e stili della modernità: così troviamo angeli caduti che ascoltano i Queen in macchina (Good Omens), antichi dei africani che amano partecipare al karaoke (American Gods), personificazioni della morte che vestono punk e hanno camerette tutte poster e orsacchiotti (Death). Anche quando tiene fuori gli oggetti della modernità, come in Stardust, lo stile di Gaiman resta riconoscibile.
E’ proprio quello che non accade nel film. Dopo aver fondato la sceneggiatura sulle solide basi del libro, il regista continua e prendere in prestito linguaggio e stile da altri film. Così vediamo ridondanti musiche in crescendo, riprese a volo d’angelo che scendono in picchiata nei palazzi, personaggi solitari in ampie e verdi vallate… direttamente dalla trilogia di Jackson de “Il Signore degli Anelli”. Il resto è pura accademia: giunzioni di montaggio che non aggiungono alcun senso alla storia, come quella delle rune (che significano quelle inquadrature? Che le rune vanno di moda a Stormhold?), un classico salsicciotto montato in modo un po’ ridondante e maldestro (mi riferisco alla sequenza sulla nave in cui Tristan impara a dar di scherma e la stella a danzare) e un discreto uso della computer grafica.
Insomma, se vedessi un altro film dello stesso regista, non credo che direi: toh, un film di Vaughn! Ed è un peccato che il progetto non sia stato affidato ad un regista in grado di usare in modo meno scolastico la sintassi filmica.

mercoledì 17 ottobre 2007

Tramontisti

Marcello Mastroianni, nel film di Elio Petri "La Decima Vittima" (tratto da un racconto di Robert Sheckley), fra una caccia all'uomo e l'altra fa il predicatore della setta dei tramontisti.
Se la scena in cui celebra il tramonto sulla spiaggia di Ostia vi ha particolarmente ispirato, se sono le dieci di mattina, ma vi manca già la luce del tramonto, se non volete mai perdere d'occhio il sole perché vi aspettate che da un momento all'altro possa esplodere o implodere o cambiare strada, vi consiglio di fare un giro su questo sito:

eternalsunset.net/

martedì 16 ottobre 2007

Stardust di Neil Gaiman

Ricordo che quando ero bambina una fiaba poteva farmi piangere e ridere nel sonno, un’immagine vagamente horror  che oggi degnerei appena d’uno sguardo riusciva a terrorizzarmi per settimane, i colori erano più vivi, una metafora mi trasportava per ore in nuovi piani della realtà e un accostamento insolito di parole apriva porte verso luoghi dove non ero mai stata.
Da allora non faccio che cercare queste porte ed è sempre più difficile, perché le combinazioni di colori devono essere sempre più raffinate perché riesca a vederle e le parole hanno perso violenza e carne.
Stardust parla di un giovane che varca la porta verso il mondo delle fate, ma rappresenta in sé questa porta, nel ritmo e nella qualità della scrittura, che con semplicità fa rivivere nel lettore le sensazioni vivissime che provava da bambino quando ascoltava una storia. E quella fiaba era potente, perché formava la sua visione del mondo.
Neil Gaiman, raccontando a modo suo la storia di Orfeo (nella bellissima serie The Sandman), deve averne acquisito il potere. Come il mitico cantore sapeva ammansire le bestie e mutare la realtà col canto, Gaiman riesce ad aprire le porte dell’immaginazione anche per l’adulto più cinico e reso ottuso dalle ansie e dalle nevrosi della vita moderna. La sua scrittura recupera la musicalità dei primitivi racconti orali, riuscendo a calmare e a distendere i pensieri.
Ho letto Stardust in un periodo difficile, in cui soffrivo di insonnia e ansia. Dovevo prendere delle decisioni, ma non riuscivo a pensare lucidamente. Mi bastava leggerne un capitolo, anche alle 5 del mattino dopo ore di insonnia e inutili sonniferi, e riuscivo ad addormentarmi. Un paio di pagine mi calmavano e mi facevano riacquistare la lucidità e il senso della realtà (non è così strano che una fiaba faccia tornare alla realtà…).
Insomma, lasciate perdere ansiolitici, antidepressivi, vitamine, integratori e leggete Stardust! Lo so che può sembrare una di quelle pubblicità del tipo “la crema che fa crescere i muscoli” o “gli occhiali che vedono sotto i vestiti”, ma davvero la lettura di Stardust è… terapeutica. E, per restare in tono, provare per credere!

lunedì 15 ottobre 2007

Pamelo. Le sventure della buona volontà. (1)

Pamelo era nato il 29 febbraio di un anno con 13 lune, in una frazione di un paesino della Val D’Agri che contava poco più di 200 anime (due terzi delle quali in prossimità di trasloco a miglior vita).
Sovrastava il paese l’enorme cartello pubblicitario di un’impresa edile: una scritta in Arial BOLD verde su sfondo bianco “TATARANNI COSTRUZIONI” e, sulla destra, il fedele disegno 3D di una serie di palazzoni in cemento in pieno stile horror architettonico anni ’80.
Lo stand era stato innalzato per l’informazione e il diletto degli automobilisti in viaggio sulla nuova strada che avrebbe collegato i comuni della valle alle Salerno-Reggio Calabria. Ma, a progetto approvato e malloppo incassato, la strada non era stata più costruita e il manifesto plastificato era rimasto lì ad ingiallire per anni.
All’età di sei anni Pamelo ebbe alcune fondamentali rivelazioni:
-         Il suo paese non si chiamava “Tataranni Costruzioni”
-         I numeri non arrivano fino a 50. E dopo il 50 non c’è subito il millemila.
-         Gli elfimeri non esistono. Si chiamano elfi e non fanno concorrenza sleale a Babbo Natale, ma lavorano per lui.
-         Le tazze da tè in genere non sono così brave a improvvisare coreografie da musical, ma tendono a sfracassarsi se provi a fargli fare un paso doble.
-         Tutti muoiono prima di scoprire se l’universo è finito o infinito. Molti neppure ci provano. Lui ci avrebbe provato, ma sarebbe morto lo stesso. Prima.
-         I suoi genitori avevano fatto un incredibile favore ai suoi già poco fantasiosi compagni di scuola, che grazie a quel nome non dovevano allenare l’immaginazione per trovare ulteriori motivi di scherno.
Suo padre, diversamente da quanto si potrebbe pensare, non era un appassionato di tette e surf, capace di infliggere al suo primogenito il nome di una star televisiva. Era il pastore dell’unica chiesa evangelica della valle e aveva pescato quel nome da uno dei dischi che gli spediva suo fratello, direttore di un’impresa discografica in Africa (Pamelo Mounk'A & les Bantous de la Capitale). Tuttavia Pamelo sostenne sempre la prima versione quando frequentò le medie e le superiori fuori dal paese: un padre maniaco sessuale e teledipendente era sicuramente più accettabile e meno strano di un pastore evangelico amante della musica etnica.
Trascorse l’adolescenza leggendo romanzi di pirati, astronavi, moschettieri e agenti segreti e provando una sempre più profonda insofferenza verso la vita piatta e noiosa che gli era toccata in sorte. Tuttavia non fu mai uno studente modello e pensava che il bovarismo fosse una malattia epizootica. Suo padre non riuscì nemmeno a farne un buon cristiano, poiché Pamelo sembrava credere che la stella cometa fosse l’astronave aliena che aveva deposto Gesù nella grotta, e che i suoi l’avessero lasciato fra un bue e un asinello a causa dell’inesatta identificazione della specie dominante sul pianeta. Infatti il giovane Pamelo frequentava un gruppo di balordi convinti che gli alieni li visitassero in sogno, che Elvis fosse il loro postino e che ci si può drogare leccando i francobolli.
Tutti questi elementi possono forse giustificare, o almeno contribuire a spiegare, la confusa e inesatta percezione del mondo e della società che aveva il diciottenne Pamelo, nel meraviglioso giorno in cui, con il trasferimento nella Capitale, aveva inizio la sua vita vera, sottoforma di cazzeggi universitari e sesso pomeridiano, conquiste a sconfitte, telefilm e cylum, conoscenza e sogni...




...continua lunedì prossimo.

sabato 13 ottobre 2007

Le mie webzine musicali preferite

And the winners are....

www.ondarock.it/

www.sentireascoltare.com/index.php
(disponibile anche come magazine cartaceo)

www.kalporz.com/

Ottime recensioni, esaustive monografie, interviste e articoli interessanti sui gruppi più o meno noti, forum e community, tutto all'insegna della qualità. Per seguire le nuove uscite e per scoprire facilmente quegli artisti e album di cui sareste venuti a conoscenza solo dopo ascolti fortuiti o affannose ricerche. Una lettura raccomandata per tutti gli appassionati di musica.

venerdì 12 ottobre 2007

No Direction Home. Bob Dylan

Il trend generale di questo spazio dovrebbe essere di commentare o recensire film nelle sale e serie televisive recenti, tuttavia ho trascorso le ultime 5 ore (204minuti di film + speciali) a guardare il documentario di Martin Scorsese su Bob Dylan e, al momento, non riesco a pensare ad altro.
Attraverso interviste a produttori, poeti, musicisti (fra cui Ferlinghetti e Joan Baez), materiali video di concerti ed eventi (fra cui un provino girato da Andy Warhol e l'emozionante discorso di Martin Luther King al Lincoln Memorial) Martin Scorsese racconta i primi anni della carriera di Bob Dylan come folk singer, fino alla svolta rock di Highway 61 Revisited, vissuta dai fan come un tradimento (1961-1966).
E' il titolo (preso da una bellissima canzone del "menestrello indipendente") che suggerisce la chiave di interpretazione del film e della figura del musicista. Un artista complesso, sempre in movimento (like a rolling stone) che rappresenta lo spirito di un'epoca fluida e ribollente, un'epoca di cambiamenti e rivoluzioni, in cui si sentiva che tutto era possible, anche dominare la Storia. Così anche la vita e l'arte di Bobby sembra non voler prendere una direzione precisa, non volersi chiudere in etichette e dogmi, sia musicali (la svolta elettrica di Higway 61), sia politiche (il rifiuto di Dylan di essere strumentalizzato politicamente, pur rappresentando una guida e un punto di riferimento per i movimenti pacifisti e di sinistra).
Ve lo consiglio anche se non siete fan di Bob Dylan (è d'obbligo l'acquisto del dvd, ricco di performance e altre chicche nei contenuti speciali, se lo siete).
Perché, da grande autore qual è, Scorsese non racconta solo la storia del musicista, ma tutto lo spirito di un'epoca e pone questioni sempre attuali, come il dilemma che l'artista deve affrontare quando vuol esprimere la propria indipendenza, pur trovandosi a rapprentare le aspettative e le idee di un'epoca.

giovedì 11 ottobre 2007

Radiohead – In Rainbows. Parte I. Yes, I am a dreamer.

Parlando di In Rainbows, l’ultimo album dei Radiohead, non si potrà fare a meno di accennare all’avanguardistica strategia di marketing che ne ha preparato l’uscita.
Nessun contratto con una casa discografica, nessuna anticipazione e copie omaggio a giornali e riviste del settore. L’album sarebbe uscito solo online lo stesso giorno, per tutti: il 10 ottobre 2007. Il prezzo? It’s up to you. Offerta libera, anche niente. Per fan, collezionisti, amanti del vinile e degli artbook c’è il super cofanetto a 40 sterline, ordinabile dallo stesso sito.
Si è parlato di scavalcamento dell’industria discografica, di nuove forme di distribuzione e di tutto quello che un gesto del genere comporta . Ma non si tratta solo di marketing: con quel “It’s up to you” i Radiohead, da sempre fuori dagli schemi in campo musicale, rovesciano le leggi del mercato. Sia chiaro, l’economia di mercato è una mostro difficile da abbattere e questa strategia, sui grandi numeri, è insignificante e frivola, ma porta anche nell’industria discografica quello che a livello globale (e con conseguenze ben più serie) sta tentando di sconvolgere il Moloch indifferente e inumano dell’economia di mercato, l’economia per cui il prezzo è deciso da domanda e offerta, senza interferenze morali. In breve: l’idea di questa nuova economia è che l’etica non dovrebbe mai essere scissa dall’economia, che la povertà, la qualità della vita e l'eguaglianza non si valutano solo attraverso i tradizionali indicatori (ricchezza, reddito o spesa per consumi) ma soprattutto analizzando la possibilità di vivere esperienze o situazioni cui l'individuo attribuisce un valore positivo.
Sì, trovare i Radiohead e l’economista indiano Amartya Sen (autore di “Etica ed economia”, “Risorse, valori, sviluppo” ecc.) nella stessa pagina, potrebbe sembrare blasfemo, forse inopportuno ad un primo sguardo. Ma il principio è lo stesso: riportare la soggettività, i valori, l’etica, l’umanità nell’economia.
E penso che la decisione dei Radiohead di distribuire il nuovo disco a offerta libera, sapendo del loro orientamento politico e dell’interesse per il libro di Naomi Klein, sia una mossa consapevole in questa direzione.
Il prezzo lo decidi TU, non il mercato, questa indifferente e oscura entità metafisica che se ne sbatte dei tuoi bisogni morali, esistenziali e sentimentali. Tu, individuo responsabile e complesso, con la tua storia di vita, i tuoi gusti, il tuo modo di pensare.
Non una variabile in una equazione matematica, sullo stesso livello di altre variabili incorporee come domanda e offerta, non uno stupido puntino nella massa di cui si possano calcolare e decidere i bisogni e le preferenze (musicali, letterarie ecc.).
Insomma, portare nell’industria culturale e discografica principi che stanno cercando di smuovere l’economia di mercato a livelli “primari”, è un gesto di rara intelligenza e sensibilità.


A breve la seconda parte (recensione del disco)

Radiohead - In Rainbows. Parte II. RH Arp



Ma ora veniamo al disco. Il mio timore era proprio questo: In Rainbows resterà nella storia del marketing e dell’economia, ma avrà un posto anche nella storia della musica? Certo, i Radiohead in quanto band il posto già ce l’anno con i capolavori Ok Computer e Kid A/Amnesiac. Tuttavia, dall’ascolto delle registrazioni live che circolavano da un paio d’anni delle 9 tracce dell’album, non mi aspettavo grandi rivelazioni. Infatti In Rainbows non è una rivelazione (poteva esserlo se fosse stato il loro primo o secondo album…). Semmai è una conferma.
Ad un primo ascolto si rivela subito come un album compatto e coerente (come lo era Kid A, cui si avvicina anche per brevità: poco più di 40 minuti). Infatti, chi ha ascoltato solo le registrazioni live delle varie Arpeggi, Reckoner, 15 step, se le dimentichi: tutte splendide canzoni, ma acquistano un quid in più solo come pezzi dell’album, che va ascoltato rigorosamente per intero.
I Radiohead sembrano meno inquieti, meno sperimentatori di nuove sonorità, ma più sicuri di sé, del proprio stile e della capacità di creare canzoni bellissime, perfette e senza tempo.
Come in un teorema hegeliano, il rock malinconico e straniato di OK Computer era la tesi,  le sperimentazioni sonore di Kid A/Amnesiac l’antitesi, Hail To The Thief un primo, imperfetto tentativo di sintesi e finalmente In Rainbows è la sintesi matura e coerente del lavoro dei Radiohead. No, non hanno rivoluzionato ancora una volta il rock, non hanno tentato nuove strade (anche se si sentono aleggiare generi nuovi per la band, come il soul in Reckoner, o il reggae in House of Cards), ma hanno portato a maturazione tutte le idee che fermentavano nei precedenti album. Certo, questo potrebbe essere capovolto come un guanto e diventare un difetto: ormai si sono adagiati sul loro sound, quelle idee se nei primi anni fremevano e bruciavano, qui se ne stanno placide come in un caminetto sotto vetro. Niente di tutto ciò: se ad un primo ascolto l’album appare bellissimo, sì, ma in pieno stile Radiohead,  è solo dai successivi ascolti che si scovano le sorprese, si intravede la laboriosa filigrana dietro la compattezza delle canzoni, si comprende che non si tratta di maniera, ma di complessa maturità.
I beat di Reckoner introducono il disco bruscamente, come uno schiaffo. Poi si inseriscono il cantato ondivago di Yorke e un tappeto più morbido di chitarre e synth a contrappuntare i beat con variazioni ritmiche. Un gran pezzo per chi ha amato Idioteque.
Una cavalcata di chitarre come non se ne sentivano da Electioneering apre Bodysnatchers. Poi, a metà (un classico nella nuova forma-canzone Radioheadiana) il tono cambia, diventando più straniato e inquietante. Nude è una grande vecchia idea e non cambia molto dalle precedenti versioni, se non per l’accompagnamento acustico della chitarra.
E’ il titolo a dare la cifra stilistica di Weird Fishes/Arpeggi: beat elettronici e un arpeggio di chitarra che accompagna la struggente, emozionante voce di Yorke fino alla fine di una canzona destinata a diventare un classico.
All I Need è una canzone d’amore (l’amore maturo e profondo di una coppia, non più quello sofferto e negato di Exit music, né tanto meno quello adolescenziale di tante canzonette pop). E’ costruita su tre semplici elementi: variazioni di un accordo di un basso vibrante e distorto, un tessuto sospeso di batteria e synth e la voce di Yorke al massimo dell’espressività.
Faust Arp è l’inattesa perla dell’album: forse la canzone più leggera e fresca dell’intero repertorio radiohediano, eseguita da Yorke in una forma di cantato-parlato già sperimentata in A Wolf At The Door. Canto ritmato, chitarre folk e la sapiente orchestrazione d’archi di Greenwood. Il tutto in minore, naturalmente. In Reckoner, irriconoscibile rispetto alle precedenti versioni, Yorke si sperimenta come soul singer. Bellissima la coda finale, col canto che sale come un lampo di luce in un cielo crepuscolare. Restando negli assaggi di nuovi generi, House of Cards si apre con una chitarra dal sapore reggae e prosegue con l’aspirazione a diventare una delle più belle ballate di sempre. Da brividi il canto finale di Yorke.
Niente nella trascinante e intensa penultima traccia (Jigsaw Falling Into Place) lascia presagire che il sogno stia per finire, perché apre ancora nuovi scenari, ci porta lontano, sembra quasi l’incipit di un nuovo meraviglioso disco. Sono sempre un po’ sorpresa e delusa quando sento arrivare, troppo presto, l’accordo funereo di Videotape, con quel suono continuo di sottofondo, come l’ultimo pezzo di un nastro che si riavvolge. E’ una canzone bellissima, ma per me significa solo: è finito l’album.
E’ un pezzo malinconico e disincantato, come di un uomo che si guarda indietro e fa il bilancio della sua vita, e guarda i vecchi ricordi sottoforma di un filmino delle vacanze, un disco comprato all’università, un oggetto un po’ kitch che ha conservato troppo a lungo perché doveva significare qualcosa, ma non ricorda più bene cosa.
E’ strano come una canzone così chiuda l’album meno “triste” dei Radiohead.
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