Viveva in quella casa una donna cieca che per conoscere le cose leccava la polvere. Una lunga malattia l’aveva resa paralitica e le aveva atrofizzato i sensi.
La sua lingua soltanto era viva. S’insinuava in una fessura fra i mobili, dove la polvere s’era nascosta da anni, e di ogni granello riconosceva la provenienza. Sentiva i frammenti della pelle di sua madre, che forse s’erano staccati dalle mani screpolate dalla dermatite, quando le grattava dopo aver lavato i piatti, e la lanugine di una gonna che aveva indossato quand’era bambina, e il polline che entrava in casa quando c’erano ancora i pioppi sulla strada, e i pilucchi delle lenzuola al cloroformio dell’ospedale vicino, grevi del sudore dei malati.
Leccava i vecchi mobili con gratitudine, poiché la sua lingua vedeva più lontano di quanto in passato avevano potuto vedere i suoi occhi.
[CONTINUA.... su "Al buio non parliamo delle stagioni" in uscita presso Albus Edizioni]
È possibile leggere una versione non integrale del racconto sul sito di oblique, qui.
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