Rapporti di ricerca sulla vita sessuale delle formiche australiane e sugli ultimi avvistamenti di corridori onirici

sabato 26 febbraio 2011

La chimica dei sogni

Se vuoi raccontare un sogno, ispirati alle formule sul taccuino di un fisico.
Se intendi rappresentare creature fantastiche, armati della pazienza di un entomologo.
Racconta una fiaba come se stessi tenendo una lezione di chimica.
Non sopporto chi crede che per scrivere un racconto fantastico o per creare un'opera surreale sia sufficiente accostare elementi a casaccio, con l'arroganza creativa di un bambino ingordo.
È necessario un rigore assoluto per rendere la leggerezza dei sogni.
Amo le opere di Mark Ryden perché dipinge fiabe e visioni oniriche con la precisione di uno scienziato.
Un alchimista, che lascia l'ultimo elemento nell'occhio di chi guarda.






Sogni d'oro

lunedì 21 febbraio 2011

Decabristi nel West, Stupidi Orsi e Piccole PJ Harvey crescono

Qualche giorno fa mi sono detta: è un po' che non ascolto dischi nuovi. Vediamo che c'è da pescare. E mi sono tuffata nel laghetto delle mie webzine di fiducia. Da kalporz a ondarock, da sentireascoltare a storiadellamusica echeggiava il nome dell'italobritannica Anna Calvi
Nome elegante, palindromo, copertina sensuale, ha per padrino Nick Cave e questo può bastarmi. Mi accorgo che c'è un certo hype e, a un primo ascolto su youtube, non mi pare giustificato. Inoltre non ho voglia di sentire la "nuova PJ Harvey", come la chiamano tutti. Già non mi esalta la vecchia. E poi sono piena di album tristi, pensosi, voci oscure, sonorità dark, malinconia e inquietudini da rock luciferino. Certe volte mi sembra di avere solo musica deprimente. Stamattina, per esempio, la sveglia dell'ipod ha cercato di uccidermi mandando in modalità "casuale" "Twilight, nihil" di Current 93, "No surprises" dei Radiohead, "When we reach the hill" dei Black Heart Procession e per finire "The Kubler-Ross model" di Matt Elliott. Ma io a quel punto ero già al quinto stadio di accettazione della morte. Insomma, ho bisogno di musica più allegrotta. Decido di ascoltare lo stesso la Calvi, ma scopro che sono usciti anche i nuovi album dei Decemberists e degli Akron/Family. Bene, bene, un po' di sana caciara!
"The king is dead" dei Decabristi è meno divertente di quanto mi aspettassi. Dove sono i pirati, i tagliagole e gli avventurieri di Castaways e Cutouts e di Picaresque? Questo è un bell'album folk, ma... ma le storie, le suggestioni sonore non sono granché. La voce di Colin Meloy è sempre seducente e nei testi c'è la solita fascinazione per le storie romanzesche. Al posto dei picari e delle improbabili dame medievali ci sono corpose ballate western e Calamity Jane da salotto. Ma non è al livello di Picaresque... Del resto non possono fare sempre lo stesso album, li capisco.
"The cosmic birth and journey of Shinju TNT" della famigliola hippy di Akron è proprio la caciara psichedelica che mi aspettavo. Un po' troppo Animal Collective. Un trip solare e sregolato, proprio quello di cui avevo bisogno. Ma mi rendo conto già al secondo ascolto che non siamo alla perfezione di Love is Simple. Manca la semplicità, mancano le idee davvero innovative. Le sonorità sono sì eclettiche e visionarie, ma senza ordine. E dopo due, tre ascolti, stanca. Assorda. Il cosmo è fatto anche di silenzio e semplice puro pop. Però, dai, almeno se mi sveglio con "Silly Bears" non rischio di avere impulsi suicidi. Al massimo mi verrà voglia di riempire il salotto di lucine natalizie e di ripescare dal fondo dell'armadio quella maglietta del San Francisco Avalon che non metto da anni.
E ora, Anna Calvi. Avevo una mezza intenzione di recensire questo suo fortunato album d'esordio, ma non ho molto da dire, perché, a esser sincera, le sue canzoni non mi dicono molto. Non ancora, almeno. Ha una voce sublime e rara, questo è indubbio. È un disco che ascolto volentieri. Non è neanche così deprimente e dark, come temevo.
Mi piace sì, ma è (quasi) tutto già sentito. L'intro chitarristica è un folk strumentale alla Calexico col piglio di Jeff Buckley. I sussurri e i crescendo di  "Morning Light" e "No More Words" sono forse la parte migliore dell'album, insieme all'intensa "The Devil". "Desire" sembra scritta e cantata da Patti Smith. Anzi, si potrebbe infilare in un suo album e nessuno si accorgerebbe che non è sua. Anche "Blackout" non mi convince. Certo, ce ne fossero di esordi così e di hype su album così solidi e sentiti.

martedì 15 febbraio 2011

Storie di venditori porta a porta - Il diavolo e la signora Dulcinea

Premessa: Quando questo blog era ancora su splinder, un post sul tema del desiderio era finito, chissà come, fra i primi risultati delle ricerche su google per la parola chiave "venditori porta a porta". Me ne sono accorta dai commenti piccati e talvolta offensivi dei venditori in visita: ormai ricevevo solo quelli. Prima di traslocare su blogger, avevo promesso di scrivere un articolo dedicato solo ai venditori. Eccolo qui. Forse seguiranno altri racconti della stessa "serie".

Il diavolo e la signora Dulcinea.

Si dice che il diavolo, stanco di comprare anime, indossò il suo completo migliore di seta saturnina e si improvvisò venditore. Improvvisare non è però il temine corretto, probabile che l'abbiano inserito qui i suoi denigratori. Non improvvisa nulla il diavolo, e poi vendere non è così diverso dal rovesciare un guanto. Come andò, riuscì a vendere almeno un tagliagole, un aspirasoldi, un crematore? No, fallì, ma solo per un difetto di forma, che non sia mai detto il diavolo non sappia mercanteggiare. È dei mercanti il maestro, lo sanno anche i ciottoli di Porta Portese, lo sussurrano le lanterne di Temple Street, lo mostra la sabbia che s'infila negli occhi a Kahn Al-Khalili, lo cantano a squarciagola gli ubriachi di Camden e gli archi del Gran Bazaar ne serbano l'arcano, perché c'è sempre chi è disposto a comprare un segreto di pulcinella. Già s'avvide il demonio che qualcosa non andava alla prima transazione, nel salotto di trine, umori scaduti e sogni appassiti per profumare gli ambienti della signora Dulcinea, che della sua intimità non più sentiva l'odore e non s'illudeva certo di risolvere il problema con un diffusore elettrico. Nè, tantomeno, con l'anima di Jean-Baptiste Grenouille. Si premurò il bel giovine di vello di vacca vestito, tutto nero come una cassa da morto o come il tisto dietro le recchie del nipote, di dirle che persino i personaggi d'inchiostro vanno all'inferno, che non vendeva lui animelle di seconda mano. La Dulcinea s'indispettì, che vecchia era, mica scema e lo mandò all'inferno, che di bellimbusti fetenti (ahimé, quanto avrebbe desiderato poterne invero sentirne l'odore) sbavosi dietro alla sua pensione, ne aveva piene le tasche. Al che tornò un attimo a casa il demonio, ma solo per prendere il libro. Lesse alla Dulcinea, che sul vecchio dondolo s'appisolava a tratti, tutta l'opera letteraria nota come "Il Profumo". E che devo dire, giovinotto, commentò alla fine, bravo mi sembra, è bravo, mica lo nego. Fece un ruttino per smaltire il ketoprofene preso col succo d'orzata che tanto l'infanzia le ricordava e lasciò ciondolare la testa, ripetendo "bravo, bravo", come faceva quando il concorrente indovinava il quiz. Ma che faccio, poi con l'anima sua? Nel diffusore la metto? E non riferirò cosa il diavolo rispose, poiché giammai intendo dovergli pagare il copyright. Basti sapere che la convinse. Le concesse anche un giro di prova. E non si contano le stelle che negli occhi della Dulcinea s'accero quando il Grenouille ridestò le sue narici addormite! E mo' come ti pago?, chiese alfine la vecchia. Che so' pensionata io e vengono i nipoti, non ci compro le caramelle? Non ci compro i kindèr e i pupazzetti del cinese, che prima era tuttomille, mo' s'è messo la targa nuova tutt'a un euro. E l'interruppe il venditore, arrecandole grande gioia perché non un centesimo della sua pensione chiedeva per l'anima del Grenouille. Non abbocca un falsario a una banconota tarocca. E il re dei falsari non si fa pagare con la moneta falsa che il mondo muove e ch'egli stesso, dall'inizio del tempo, ha messo in circolazione. L'anima della Dulcinea chiese, e la Dulcinea, senza un fiato, gliela rese.


lunedì 7 febbraio 2011

Il razzista in "buona fede"

Ho letto ieri che, nella scuola dell'infanzia di Fossalta di Piave in Veneto, un sindaco leghista...
E qui si crea attesa: che avrà fatto? Qualcosa di disgustoso, immondo, abietto, meschino? Ehi, ma sempre questi stereotipi. I sindaci leghisti sembrano gli orchi di un brutto romanzo fantasy. Ebbene sì, ha fatto una cosa meschina, abietta, disgustosa. Ai danni di una bambina di quattro anni. La realtà, purtroppo, è piena di stereotipi e non la possiamo nemmeno cestinare.
Per i dettagli della vicenda rimando all'articolo su "Il Fatto Quotidiano".
Riassunto per chi non abbia cliccato il link (sicuro? Guarda che l'articolo intero è meglio del riassunto):
Per non allontanare dalla mensa una bimba di origini africane, le maestre si privano di un pasto a settimana, ma il sindaco le accusa di danno erariale e le minaccia: denuncia al provveditoriato e sospensione dell'insegnamento per chi regala la sua cotoletta a una bimba di quattro anni. La direttrice dell'asilo lo spalleggia. E quando l'intervistatore domanda se alla base di quella decisione non ci sia il razzismo, risponde: “Penso proprio di no. Anzi, questa vicenda è la migliore garanzia della buona fede del sindaco: la bimba viene trattata come verrebbe trattato un qualsiasi italiano”.
La frase mi ha colpita, perché l'ho sentita tante volte per giustificare piccoli e grandi soprusi, violenze nascoste, crudeltà di varia natura. È una frase da manuale nella retorica del razzista in "buona fede".
L'ultima volta che l'ho sentita ero in biblioteca con F., una sedicenne iscritta al secondo liceo scientifico. F. è intelligente, studiosa, assennata. In Iraq andava bene in tutte le materie, anzi, era la prima della classe, mi confida con orgoglio misto alla frustrazione di aver dovuto ricominciare dal primo anno il liceo in Italia e di rischiare una seconda bocciatura, nonostante gli sforzi e la tenacia che un qualsiasi studente italiano non si sogna nemmeno. Non perché sia pigro o privo di immaginazione, ma per una ragione molto semplice: gli insegnanti, pressappoco, parlano la sua lingua.
Ho cominciato a seguire F. e suo fratello l'estate scorsa, per aiutarli a superare gli esami nelle materie in cui erano stati rimandati. (E se qualche orco nazi-leghista vuole accusarmi di danno erariale perché do lezioni private gratis, rispondo: tiè, non sono un'insegnante). Purtroppo, non ce l'abbiamo fatta. F. e suo fratello si sono iscritti a un altro liceo scientifico (non al professionale, come pretendeva l'insegnante che li ha bocciati). L'altro giorno, cercando di fare un po' il punto della situazione, ho chiesto come stava andando e se stavano prendendo buoni voti. F. ha risposto, ridendo, che di questo passo a ottant'anni frequenteranno ancora il secondo anno di liceo scientifico in Italia. Mi racconta dell'ultima interrogazione d'inglese.
Il prof le fa una domanda ed F. chiede di ripetere perché non ha capito. Il prof la ignora. Lei gli confessa di non capire il suo accento (immagino la scena: lui presume di parlare come un nativo oxfordiano e invece biascica in inglese maccheronico). Il prof risponde che non intende ripetere la domanda.
«Volete essere trattati come italiani e non come stranieri? Be', vi sto trattando come italiani. Così ha detto e mi ha rimandata a posto. Senza voto», dice F. e mi guarda.
La guardo anch'io e vedo una ragazza di sedici anni che studia come un'ossessa per passare l'anno, anche se non sarà più la prima della classe. Sa di lavorare dieci volte più dei suoi compagni, eppure un insegnante scambia una legittima domanda per una richiesta di "favoritismo". Vedo una ragazza che arriva, una mattina, tutta luminosa in viso perché ha un cappotto nuovo ed è venuto a trovarli un cugino dalla Germania. Una sedicenne che vuole degli amici veri, vuole che i genitori siano orgogliosi di lei, vuole essere amata, vuole rispetto. Vedo un'adolescente che ha visto ammazzare il suo insegnante davanti alla classe. Che per sopravvivere è dovuta scappare dal proprio paese. Che non sa se rivedrà più gli amici, i cugini, gli zii, la grande casa in cui è nata. Vedo F.
e mi chiedo: ma cosa diamine ha visto il prof d'inglese? Un manichino col cartello "straniera wannabe italiana"? Dove sono questi ipotetici, inesistenti "stranieri" senza volto? Come ha fatto a non vedere F. anche se ce l'aveva lì, in carne e ossa, accanto alla cattedra? E se l'ha vista, perché fingere e scaricare su di lei frustrazioni e paure? E già abbastanza dura essere adolescenti.
Forse questo sindaco leghista, questo insegnante di liceo e tanti altri (davvero tanti, pare) che con la crudeltà, ma senza l'innocenza, dei ragazzini, compiono piccole o grandi violenze contro bimbe di quattro anni e adolescenti in fuga dalla guerra, vedono il mondo in numerini verdi e definizioni da opinionista della domenica, un po' come Terminator. O come i Dalek. Umano bzzzz straniero sterminare sterminare. Non lo so. Sinceramente provo a capirli, ma non ci riesco.
Eppure si presume che siano esseri umani anche loro, nonostante la reazione del sindaco leghista, ad esempio, possa far sorgere qualche legittimo dubbio. È così difficile comprendere che gli altri non vogliono essere trattati come "italiani" o "riempi con una nazionalità a caso", ma come PERSONE?
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