Qualche giorno fa sono andata a farmi una visita per delle crisi d'asma che mi stanno tormentando da gennaio. Secondo mio marito si tratta di un disturbo psicosomatico, perché ogni volta che nomina L.J.S. (l'autrice dei libri che sto traducendo) mi scatta l'asma, tipo il nitrito dei cavalli in Frankenstein Junior quando si nomina Frau Blucher. Può darsi, ma non è di questo che voglio parlare.
Sono le otto di mattina del giorno dopo pasquetta quando entro nella sala d'attesa del mio medico a Matera e trovo un gruppo di vecchietti intenti a discutere animatamente di transumanesimo, cibernetica e religione in salsa futuristico-eretica. Mi siedo. Forse non sono ancora del tutto sveglia. Sì, stanno proprio parlando di cicli di reincarnazione, realtà virtuali con echi matrixiani e dickiani, trasmigrazione delle anime nelle macchine. Vanno avanti per un'ora buona e alla fine il più giovane (un tipo robusto, capelli sale e pepe sotto la coppola, sulla sessantina) conclude: fra qualche anno la carne umana non esisterà più, saremo tutti robotizzati.
Stelarc, artista postumanista, in posa con il suo terzo orecchio |
Tornando a casa ripenso alla conversazione dei vecchietti e mi chiedo perché mi sorprenda tanto che parlassero di transumanesimo e non di acciacchi, politica e ricordi di gioventù. Più che sorpresa provo sollievo. E la sensazione di sollievo diventa sempre più intensa quando entro in casa e trovo il televisore acceso in cucina che, come al solito, si guarda da solo. C'è la solita serie tv italiana del nonno per amico che ha il figlio carabiniere e il nipote prete (o qualcosa del genere, tanto sempre quelli sono gli ingredienti). Almeno il televisore è utile alla mia gatta che ci sta appollaiata sopra a guardare i fantasmi sul soffitto (è molto freddolosa ed è vecchiotta anche lei... forse dovrei passarle qualche saggio di cibernetica). Vado in camera e accendo il pc. Ronza come un calabrone asmatico ed è l'ultimo posto in cui vorrei trasmigrare, ma compie ancora il suo dovere e mi mostra subito le pagine che cercavo. Sono in vacanza, il medico mi ha assicurato che anche stavolta non sto per morire, almeno non di asma, e ho una gran voglia di andare al cinema (è una delle prime cose che mi viene in mente quando sono felice). Cerco fra i film italiani, perché almeno quest'anno vorrei dare i miei soldini a qualche produzione nostrana. E poi due anni fa è uscita una piccola perla (anzi un minerale alieno): L'uomo fiammifero di Marco Chiarino. Non sia mai dovesse ripetersi il miracolo. Ma, almeno nei mesi di marzo e aprile 2011 non tira aria di miracoli. È la solita pappa pseudo-manieristica di neo (nel senso di tumore) realismo italiano. Film in cui, se ci fosse una scena ambienta nella sala d'attesa di uno studio medico del Mezzogiorno (ahia), i vecchietti innanzitutto sarebbero definiti "nonni" (anche se si fossero fatti sterilizzare a cinque anni) e parlerebbero di acciacchi, di nipoti carabinieri, di ricordi di gioventù, di quando si stava peggio, ma si stava meglio e di scottanti temi d'attualità. Tutto nei termini più banali e annacquati possibili.
Questi film pretendono di descrivere la realtà, ma, per fortuna, la realtà è ben diversa.