È una tradizione solida e radicata quella di formare due
partiti opposti ogni volta che viene introdotto un cambiamento. C’è anche chi
si pone nel mezzo e cerca di individuare razionalmente rischi e vantaggi di
tale cambiamento, ma si tratta di pochi, freddi pensatori “neutrali” (come se
ovunque fosse necessario allestire un campo di battaglia). Se parli con
passione, se sei caldo, devi schierarti. Così anche per gli ebook si sono
formati due schieramenti ed entrambi si crogiolano al fuoco d’una parola presa
in prestito dai due linguaggi più caldi della nostra storia: quello del sesso e
quello della religione. Ah, la parola è feticismo.
Ci sono da una parte i feticisti della carta, dall’altra i
feticisti della tecnologia.
Non voglio parlare qui del futuro dell’editoria, dei
vantaggi e degli svantaggi dei nuovi supporti di lettura, dei nuovi scenari
economici e culturali che tale innovazione può aprire. Mi interessa parlare
degli “affetti”, dei sentimenti profondi, irrazionali, ma non per questo meno
validi, che suscita l’ipotetica fine del libro stampato.
Probabilmente ai magnate dell’editoria che si apprestano a
varare le navi del nuovo formato, non gliene importerà una cippa di fragili,
evanescenti nostalgie per l’odore dell’inchiostro, per la ruvida, calda
consistenza della carta e via dicendo. Oppure gliene importa, ma sanno che le
passioni, in guerra come nel business, si costruiscono. Con la pubblicità, con
i dibattiti in tv, con tutti gli strumenti di persuasione che, nella nostra
epoca, rinunciando in gran parte alla violenza esplicita, hanno raggiunto vette
impensabili in tempi meno "illuminati".
Il libro, comunque, è un colosso difficile da battere nella
coscienza collettiva. È una cosa grossa, forse al livello della teoria della
terra piatta o del sole che ci gira attorno. Stiamo parlando di qualcosa su cui
sono state fondate intere religioni. E non venite a dire che contano le parole
che sono nel cuore e che viaggiano nello spirito, perché quelle parole sono
state vergate prima nella pietra, poi sulle pergamene o altre robe che dovrei
aver studiato archeologia per sapere, poi ricopiate a mano da monaci pazienti e
infine stampate su fogli di carta, ma sempre, sempre palpabili, annusabili,
leccabili… e provate pure a leccare lo schermo di un computer e vedete se non
prendete la scossa.
Sono state scritte su supporti solidi, caldi. Non sono
parole immateriali, fredde.
Ecco, di questo m’interessa parlare. Di cosa consideriamo
caldo e di cosa freddo e di tutti i sentimenti suscitati da queste parole e del
peso che assumono in una conversazione “razionale”.
Provate a leggere uno qualsiasi dei forum in cui si parla di
ebook o a parlarne con un amico. Verranno fuori sempre queste parole.
C’è chi giura che non leggerà mai un libro sul freddo
schermo di un computer.
Non ho mai avuto modo di toccare un lettore ebook in
funzione, ma sono abbastanza sicura che lo schermo del computer acceso è caldo.
Spesso molto caldo.
Sicuramente più caldo di un foglio di carta.
Allora perché alla tecnologia si accompagna sempre
l’aggettivo “freddo”?
Sarà colpa della fantascienza e delle infinite opere
letterarie e cinematografiche che hanno dipinto civiltà future e ipertecnologiche
nelle quali gli uomini si muovono in spazi asettici e hanno cervelli enormi e
cuori (spesso anche sessi) striminziti?
Io per prima vorrei tanto dare la colpa (e il merito) alla
fantascienza, a questo genere ghettizzato e disprezzato che, a mio parere, ha
influito nella nostra cultura, intesa in senso antropologico, più di tutte le
opere della cultura alta messe insieme. Credo anche che, se sopravvivremo agli
sconvolgimenti climatici portati dal riscaldamento globale, un giorno le opere
che definiranno la nostra epoca saranno soprattutto quelle fantascientifiche,
come in passato lo sono stati il romanzo psicologico borghese, la poesia
cavalleresca, i pipponi romantici. E il postmoderno? Manierismo.
Tornando all’accusa di freddezza a carico della tecnologia,
temo di dover chiamare in causa imputati ben più “incorporati”(sempre nel senso
dell’amico Bourdieu) e ancestrali di un genere letterario (basso e popolare,
per giunta) del XX-XXI secolo.
Oggi sentiamo parole e non vediamo chi le pronuncia. Vediamo
oggetti che non possiamo toccare e annusare. Interi mondi, immensi corpi
solidi, non solo piccoli rettangoli di fogli rilegati, vengono risucchiati in
microscopici chip.
Non comprendiamo come funzionano gli oggetti che usiamo
quotidianamente e poco importa che, in fondo, anche una banale forchetta sia
composta da atomi e micro-universi di cui non conosciamo il funzionamento. La
quantità di “ignoto” percepita in un cellulare è più alta di quella percepita
in una forchetta. È il percepito, non il “reale” che fa girare il mondo. (Ehm…
non mi sembra il caso di accennare a Heisenberg e alla fisica quantistica in
questo momento).
Inoltre, un libro, quando finisce nell’oscuro, invisibile
spazio di un lettore ebook, diventa immateriale. Non si può sentire, toccare,
annusare. Un morto non sente più nulla. La morte è fredda.
Eppure anche i pensieri e i sogni sono immateriali e nessuno
definirebbe freddo e asettico il proprio cervello.
La tecnologia ha estromesso i nostri sensi e ci ha immersi
nell’immateriale flusso del pensiero puro.
Non credo che i sostenitori del partito tecnologico e degli
ebook abbiano argomenti più razionali dei “feticisti della carta”. Sono in
gioco sentimenti profondi. È in discussione, come sempre, la definizione del
mondo, di ciò che è caldo e di ciò che freddo. Di ciò che porta la vita e di
ciò che porta la morte.
Qualcuno sarà pure arrivato a leggere fin qua e vorrà sapere
in che partito sono io riguardo agli ebook. Bè, non sono nel mezzo. Ma non sono
nemmeno un’estremista “tecnologica”. Sono favorevole, da molto prima che se ne
parlasse anche nella nostra provincia Italia. A volte mi dispiace che non siano
arrivati prima, quando dovevo aspettare che mio padre mi portasse in biblioteca
o dovevo mettere da parte la paghetta destinata al pranzo per potermi comprare
un libro. Penso all’enorme quantità di libri che avrei avuto a disposizione… In
fondo, però, è meglio così. Già passavo tutto il tempo a leggere da piccola, se
avessi avuto pure gli ebook sarei diventata bianca come un vampiro.
Tuttavia, non m’interessava scrivere un articolo a favore
degli ebook. Mi piace contribuire, come una minuscola, effimera operaia, alla
costruzione della grande torre di Babele del senso, ma ancor più mi piace
allontanarmi dal lavoro, di tanto in tanto, e guardare da lontano come sta
venendo su bene la torre.