Da bambina sognavo case fatte di corpi, strade di carne,
mobili composti da braccia incrociate e tavoli con gambe umane. Pettinando le
mie bambole fredde fantasticavo di camminare su tappeti di finissimi capelli
intrecciati e di abbandonarmi in morbidi grembi-poltrone. Vedevo il mio corpo
fra mille altri, a formare un immenso palazzo di carne, dove nessuno piange,
nessuno è solo.
Nella città di carne i bambini si addormentano in stanze
piene di occhi e quando hanno freddo non trovano il severo silenzio delle
lenzuola, ma si riavvolgono in calde pance rumorose, posando il capo su morbidi
glutei rosati. Quando vogliono guardar fuori non trovano l'ostilità del vetro,
ma gambe che si aprono su schiene illuminate e braccia in fiore.
Nella città di carne non ci sono specchi. I corpi hanno la
felicità immobile delle cose. Solo le ombre vivono, si affannano e sognano.
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