Oggi mi è arrivato un messaggio su Anobii: uno studente (di
sociologia, presumo), per la sua tesina sul romanzo, mi chiedeva di rispondere
a un breve questionario.
La prima domanda era: "Cosa c'è di meraviglioso nella lettura
di un romanzo?"
Dopo aver succhiato, come zucchero sciolto sotto la lingua,
tutti gli echi della parola "meraviglioso", che erano perlopiù strani
mondi lontani, esotiche dolci violenze al senso del gusto e dell'ordinario,
passeggiate sulle sabbie di vulcani inesistenti, in compagnia dei mostri (con
cui, inspiegabilmente, avevo una sospetta familiarità), mi sono soffermata
sulla pertinenza lessicale della domanda formulata dallo studente. Non un secco
"bello", o un banale "fantastico" oppure - orrore! - un
clinico "interessante". Ma "meraviglioso"... quella parola
che in un lampo può far venire l'acquolina in bocca al nostalgico astinente
lettore, che per lavoro o per analoghe sciocchezze sta sottraendo tempo
prezioso all'esplorazione dei mondi dei suoi romanzi.
E dunque, cosa c'è di meraviglioso nella lettura di un
romanzo?
C'è una speranza, quella stessa speranza che ci mantiene
vivi. C'è il coraggio, pagina dopo pagina, di sfidare la morte, la brevità
delle nostre vite. I romanzi ci permettono di vivere, sia pure di riflesso,
innumerevoli altre vite, esperienze che per vari motivi non potremo mai fare.
Poco importa se in questa casa degli specchi, dove ogni romanzo letto deforma o
abbellisce la nostra immagine, gli unici illusi siamo noi che ci specchiamo,
perché la morte non si lascia ingannare dai riflessi e alla fine ci prenderà lo
stesso. Ogni lettore sogna, in segreto, di trovare il romanzo perfetto, quello
che gli restituirà un riflesso talmente reale da ingannare la morte stessa.