Generalmente si vede nel fantastico una fuga dalla realtà e dal mondo. La maggior parte delle motivazioni dei fruitori del genere fantastico (in tutte le sue varianti e mezzi di espressione, siano letterari, cinematografici, pittorici ecc.) convergono su questa funzione di liberazione, o almeno momentaneo allontanamento, dalla grigia, quotidiana difficoltà del reale. Mi chiedo in quale mondo fantastico vivano tutto il tempo per non vedere l'estenuante imprevedibilità della realtà in cui viviamo. E' il realismo la vera "fuga dalla realtà" poiché si basa sull'illusione del controllo e sulla perfettibilità e oggettività della conoscenza.
I fruitori impegnati, vergognandosi di provar piacere per qualcosa di improduttivo, affermano di cercare nel fantastico una rappresentazione simbolica della nostra realtà. Per cui, banalmente, un orco rappresenta un uomo cattivo, un mutante con le ali il desiderio di superare i propri limiti e via dicendo. Ma così ci avviciniamo all'allegoria, sterile esercizio di traduzione da concetti a immagini arbitrarie, poi sedimentate nell'immaginario collettivo. E il fantastico è tutto fuorché sterile. Un orco è esattamente quello che è: un orco. E in questo essere viene l'incanto, il terrore e la gioia per l'abbondanza dell'esistente. E' questo piacere intriso di paura che proviamo da bambini scoprendo il mondo, e poi dimentichiamo, quando ci accorgiamo che il tempo a nostra disposizione è troppo breve per percorrere anche solo una minuscola parte della vastità dell'universo, e che dovremmo camminare mille anni, forse, per incontrare, del tutto casualmente, un orco. Allora costruiamo un mondo irreale, fatto di schemi tramandati e parziali risposte, un mondo piccolo e controllabile, a misura dei nostri limiti. E lo chiamiamo "realtà". Quel piacere lo ritroviamo, da adulti, nel fantastico. Indebolito com'è, lo releghiamo subito fra le cose da bambini, cose di puro intrattenimento. I limiti del nostro piccolo mondo e della nostra coscienza sono ben saldi (forse solo nei sogni ci fa ancora paura la brulicante, immensa, imprevedibile realtà che abbiamo disimparato a percepire).
Non leggo letteratura fantastica per fuggire dalla realtà, ma per avvicinarmi alla realtà.
Sicuramente Shakespeare l'ha detto meglio nell'Amleto:
"Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia."
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